Malamente. Una educazione maremmana. Recensione di Luca Cangianti
Stefano Erasmo Pacini, Malamente. Una educazione maremmana, Effigi, 2022, pp. 299, € 18,00.
La storia delle rivoluzioni è un’interminabile sequenza di sconfitte. Alle corse sfrenate sui pendii della vita, alle intuizioni geniali, agli amori che ti riempiono lo stomaco di farfalle, seguono le cadute nei crepacci, le ossa rotte, le carni aperte, il buio e le sue creature mostruose. E allora che senso ha questa fatica di Sisifo che si ripete a ogni generazione di ribelli? Nessuno, verrebbe da dire. Almeno che di tutti questi slanci eroici non rimanga la memoria e la sua narrazione mitica: “non è importante che tutto sia finito, è importante che abbiamo fatto quello che dovevamo fare, è importante che sappiamo che è stato giusto farlo, senza nessun rimorso. È importante che rimaniamo liberi, qualcuno deve rimanere per raccontarla, che la memoria non si perda, almeno quella, mi raccomando, se no moriamo anche noi prima che ci seppelliscano.” Fausto si rivolge così a Paco in Malamente, il nuovo romanzo di Stefano Erasmo Pacini, finalmente uscito nella sua interezza su carta, dopo che alcune parti erano state pubblicate a puntate su “Carmilla”.
Paco, l’alter ego letterario dell’autore, da bambino guarda i film al contrario dietro il telo; crescendo si batte per un mondo migliore insieme a molti altri, viaggia e sogna a occhi aperti per tutta la vita. Raccoglie poesie, cartoline, lettere mai spedite, racconti popolari, storie familiari e territoriali; è una spugna di memorie che assorbe dai genitori, dai nonni, dagli incredibili abitanti di un far west maremmano e da una folla di personaggi caratterizzati con pochi tratti vivaci. C’è l’ex minatore Mirto che conosce i sentieri dei partigiani, il Cavalier Mondiale che cerca di disquisire con chiunque di politica internazionale, Tex/Sheridan che entra nel bar dello sport con il cappello da cow boy, l’impermeabile bianco e la pistola giocattolo a fulminanti; c’è Icaro che costruisce una macchina per volare e ci sono gli amici e le amiche: Alessio, Anna, Cesare, Marcello, Stella e molti altri ancora. Un’infinità di nomi, di avventure, a volte vissute, altre ascoltate, sempre rinarrate, con un linguaggio scorrevole, colorito da toscanismi, punteggiato da folgorazioni poetiche.
Il romanzo è diviso in tre parti. La prima è la storia familiare dei genitori e dei nonni, il fascismo, la guerra, la descrizione di un mondo contadino in cui esistevano cataloghi di donne meridionali da sposare e l’accensione del televisore era un vero e proprio rito: “Quando annunciai trionfalmente a Santi – il nonno di Paco – che l’uomo era sbarcato sulla luna lui si mise a ridere, tirò un cureggione e mi disse: ‘eh, poerini, so’ tutte novelle!’” Nella seconda parte il protagonista frequenta l’Istituto tecnico minerario, aderisce a Lotta Continua e si ribella a un’esistenza predeterminata dall’etica del lavoro. È l’età dell’oro, gli anni settanta del secolo scorso: cadono i recinti delle spiagge private e si raggiunge il Portogallo rivoluzionario in Mini Minor, ma è anche l’epoca in cui un amico può morire durante una manifestazione: “La cosa che mi ricordo con maggiore piacere di quel movimento è il senso di intimità e tenerezza collettiva, una tribù solidale con un futuro da conquistare. Il non sentirsi mai soli ma parte di un fiume in piena.” L’ultima parte del racconto si svolge quando la battaglia per rivoluzionare il mondo sembra ormai persa. Questo è cambiato, ma non nella direzione auspicata: al posto della Cantina Sociale adesso ci sono le “boutique di vini” e la campagna assomiglia a un cimitero diffuso per colpa degli americani che piantano cipressi ovunque, non sapendo che sono alberi funebri. Paco si rifugia nella fotografia e si guadagna da vivere a prezzo di un duro lavoro. Lo ritroviamo prima nella ex Iugoslavia martoriata dalla guerra e poi a Siena come gestore di un bar rifugio di anime perse: punk, studenti malinconici, profughi senza documenti, giovani compagni.
Malamente è un libro corale, la storia di una generazione vista da una prospettiva periferica, ma forse proprio per questo, intima e straniante. A volte sembra di essere di fronte a un album di foto in bianco e nero. Poi di tratto le immagini si muovono, appaiono i colori, i profumi e le canzoni che portiamo nel cuore. I volti di quei giovani che guardano le stelle nella notte sono i nostri, non ci sentiamo più soli, ma parte di un racconto infinito. Le sconfitte non ci devono far paura, basta narrare le lotte e le aspirazioni che le precedettero. L’immaginario di quelle avventure ispirerà altri che verranno dopo di noi.
Luca Cangianti Carmilla on line
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