Maremma Libertaria n 4

Qualsiasi cosa cerchi di scrivere

(Italo Calvino)

Qualsiasi cosa cerchi di scrivere per esprimere la mia ammirazione per Ernesto Che Guevara , per come visse e per come morì, mi pare fuori tono. Sento la sua risata che mi risponde, piena d’ironia e di commiserazione. Io sono qui, seduto nel mio studio, tra i miei libri, nella finta pace e finta prosperità dell’Europa, dedico un breve intervallo del mio lavoro a scrivere, senza alcun rischio, d’un uomo che ha voluto assumersi tutti i rischi, che non ha accettato la finzione d’una pace provvisoria, un uomo che chiedeva a sè e agli altri il massimo spirito di sacrificio, convinto che ogni risparmio di sacrifici oggi si pagherà domani con una somma di sacrifici ancor maggiori,Guevara è per noi questo richiamo alla gravità assoluta di tutto ciò che riguarda la rivoluzione e l’avvenire del mondo, questa critica radicale a ogni gesto che serva soltanto a mettere a posto le nostre coscienze.La discussione di Guevara con tutti quelli che lo avvicinarono, la lunga discussione che per la sua non lunga vita (discussione-azione, discussione senza abbandonare mai il fucile), non sarà interrotta dalla morte, continuerà ad allagarsi. Le discussioni che contano sono quelle che che continuano poi silenziosamente, nel pensiero. Nella mia mente la discussione col Che ècontinuata per tutti questi anni, e più il tempo passava più lui aveva ragione.
(ottobre 1967)
http://youtu.be/coAFxLdhweA     (Victor Jara canta Che Guevara con immagini rare)

Brucia anche Roma Indignati? No, incazzati neri! Dopo la battaglia del 15 ottobre in Piazza S. Giovanni a Roma durante il corteo degli indignados la temperatura è bruscamente salita. Pare naufragare il tentativo vendoliano neppur tanto nascosto di sfruttare il movimento in chiave elettorale. E la risposta scomposta e isterica di maggioranza e opposizione(si fa per dire) ,con richieste questurine da tardo regime fascista, non fanno che aggravare il quadro già compromesso della possibilità di un cambio politico civile all’interno di regole più o meno democratiche. La peggior feccia governativa dell’Italia repubblicana è disposta a trascinare a fondo tutto il paese prima di farsi da parte. Il rischio, col precipitare della crisi economica, è quello di una soluzione autoritaria comunque la si mascheri. Il movimento antagonista è debole, stretto tra la tenaglia di una repressione selvaggia incoraggiata anche da settori di forcaioli come Di Pietro, e la tentazione per alcuni dello scontro elitario, magari comprensibile ma perdente. Occorrerà tutta la creativa intelligenza collettiva per rilanciare le lotte su terreni aperti evitando vicoli ciechi, fino alla caduta di questo governo infame e, soprattutto, oltre. ( Ulisse)
PROVE TECNICHE (intervento sul 15 ottobre)   
Sabato 15 ottobre doveva essere la giornata mondiale dell’indignazione. In tutto il globo erano previste centinaia di manifestazioni per protestare contro un sistema sociale che non sembra essere più in grado nemmeno di garantire una qualche sopravvivenza in cambio dell’obbedienza. Per questo, a Roma, si erano dati appuntamento tutti gli orfani piagnucolanti di una Democrazia tradita, di una Costituzione calpestata, di un Diritto negato. Prima volevano puntare pomposamente sui palazzi del Potere per assediarli,poi hanno capitolato al ricatto questurino e accettato di dirigersi verso la periferia pur di autorappresentarsi. Ma questa manifestazione nata triste non si è svolta come auspicato dai suoi organizzatori. Lungo il percorso ciò che esprimeva il privilegio della ricchezza e l’arroganza dell’autorità ha attirato la rabbia di chi è stanco di marciare e marcire, e si è organizzato per passare dalle parole ai fatti. In frantumi le vetrate delle banche e delle agenzie interinali, in fiamme l’edificio che ospita il tribunale militare del Ministero della Difesa. L’aria si è surriscaldata a tal punto che, al posto del rituale comizio alla fine di una tranquilla passeggiata, in piazza San Giovanni si sono sviluppati violenti scontri con le forze dell’ordine cui hanno preso parte alcune migliaia di manifestanti. Persone comuni, non solo teste calde giunte preparate e determinate allo scontro, ma donne e uomini che si sono battuti con tutto ciò che si sono ritrovati per le mani, anche a volto scoperto, contro una sbirraglia inferocita. Quei disordini erano previsti da tutti, annunciati da settimane, promessi da diversi, auspicati da tanti. Com’era ovvio, sono scoppiati. Fanno solo ridere i sinistri ammiratori delle sommosse altrui, delle rivolte altrove, lesti ad inchinarsi davanti alla Magna Grecia in fiamme oppure a citare un ex presidente della Camera in pensione secondo cui è finalmente giunta l’ora della rivolta (!?), che oggi deplorano quanto avvenuto nella loro miserabile Itaglietta. Questi poveri di spirito e di passioni non riescono a capacitarsi che di fronte a un mondo in decomposizione, dove Stato e Mercato fanno a gara fra chi strazia più vite umane, ci possa essere chi non intende limitarsi ad una platonica espressione di dissenso. Privati del palcoscenico politico che avevano prenotato, hanno reagito com’è loro consuetudine. Come dieci anni fa a Genova, le forze politiche che mirano a farsi costituenti (interlocutrici di uno Stato che vorrebbero rinnovare) si sono distinte per i loro metodi talmente polizieschi da venir sconfessati persino da loro militanti. E per il futuro già annunciano il ritorno dei katanga (qualcuno ancora li ricorda negli anni 70, quando imperversavano alla Statale di Milano a caccia di incontrollabili non allineati), di robusti servizi d’ordine atti ad impedire che qualcuno possa uscire da percorsi prestabiliti ed imposti. Non volendo usarli contro i tutori dell’ordine infame, useranno i loro bastoni (o i loro caschi?) contro chi vuole metterlo a soqquadro. Una scelta di parte,senza dubbio. Due giorni dopo è scattata la caccia all’anarchico, al «black bloc», al nerovestito. Polizia e carabinieri hanno effettuato un centinaio di perquisizioni in tutta Italia, in ambienti anarchici ma non solo, alla ricerca di abiti scuri e maschere antigas (il «kit del guerrigliero», lo chiamano). Il ministro Maroni, con il plauso del paladino della sinistra opposizione giustizialista Di Pietro, ha annunciato nuove leggi speciali che ridurranno notevolmente la possibilità di manifestare. Mentre la rete è invasa da immagini messe a disposizione degli inquirenti da parte di “onesti” cittadini al fine di identificare i «violenti». È delazione di massa, la delazione di una massa talmente critica da ritenere che l’invocata trasformazione sociale radicale avverrà per illuminazione, come risultato di una raccolta firme, di un accampamento, di una consultazione elettorale, di una decisione assembleare, di un accordo politico azzeccato. Sono prove tecniche di agitazione e di prevenzione. Ma sono prove i cui risultati producono e produrranno effetti da prendere in considerazione, senza crogiolarsi in un ebbro compiacimento. Quali possibilità offrono le manifestazioni oceaniche, dove al controllo della videosorveglianza va aggiunta la presenza dei cittadini-poliziotto? Possono essere accompagnate,precedute o seguite, da qualcosa d’altro che prepari, rafforzi e prolunghi il fermento? Oppure è meglio evitarle per dedicarsi ad altre pratiche? E quali, dove, quando? Come è possibile cercare di far convivere ciò che è inconciliabile, le intenzioni sovversive di chi vorrebbe porre fine a questo mondo con le preoccupazioni riformiste di chi vorrebbe curarlo? Che senso ha giocare di sponda, in un reciproco rapporto strumentale, con chi potrebbe in qualsiasi momento diventare un delatore? Non sono domande che richiedono una risposta definitiva – impossibile! –, ma solo alcuni degli interrogativi non più rinviabili, checercano e necessitano di un dibattito.
da www.finimondo.org          
——————————————————————————————————————————————-
 
Iniziamo da questo numero a ricevere articoli dall’emigrazione maremmana in Catalunya, questo articolo scritto in giugno alla luce di quanto poi è accaduto anche in Italia ci sembra ancor più interessante.
Chi sono gli indignados ?
(Emiliano P.)

A Barcellona, come nel resto della Penisola Iberica, il 15 maggio ha segnato l’inizio di unnuovo movimento di base, eterogeneo e apartitico. Sia la forza che la debolezza di questo nuovo soggetto politico che irrompe sulla scena pubblica sono legate alla sua difficile classificabilità. Proviamo ad andare con ordine per cercare di capire meglio che cosa il 15maggio (da qui in avanti 15-M) abbia cambiato nell’asfittico panorama socio-economico iberico ed europeo.
Prima del 15-M Un’altra campagna elettorale si avvicinava alla fine; i due partiti principali, il post franchista PP ed il social-riformista PSOE, provavano ad accaparrarsi fino all’ultimo voto in vista delle elezioni comunali e provinciali. Il PP, da 7 anni all’opposizione in parlamento, aveva il gioco più facile e sfruttava la disastrosa crisi economica mondiale come esempio delle nefandezze del PSOE in tutti gli anni di “giogo socialista” che la Spagna aveva dovuto subire. Nei quartieri generali del PSOE si analizzavano invece nervosamente le statistiche con le intenzioni di voto che presagivano una sconfitta epocale per il socialismo spagnolo. Principale catalizzatore dell’astio nazionale è Jose Luis Rodriguez Zapatero: quello che un tempo è stato un eroe della sinistra italiana (chi si ricorda Viva Zapatero della Guzzanti?) è diventato nel giro di 2 anni e mezzo il premier spagnolo più impopolare di tutti i tempi. Forse solo Aznar del dopo-bombe di Madrid ha raggiunto un indice di popolarità più bassa di lui; ZP, come lo chiamano da queste parti, ha applicato alla lettera tutte le indicazioni del FMI e dell’Unione Europea, tagliando aiuti e fondi per la disoccupazione, peggiorando le prestazioni essenziali come sanità e  educazione e lasciando in pace solo il fondo stanziato per le spese militari…Insomma, il PSOE si avviava a incassare una sconfitta storica. Contemporaneamente alla campagnelettorale ufficiale, altri collettivi facevano sentire la loro voce attraverso la piattaforma più rapida e capillare: Internet.Il misconosciuto movimento “Democracia Real Ya!” convocava attraverso Facebook e Twitter una manifestazione apartitica e asindacale per domenica 15 Maggio. Le ragioni della convocazione erano molto generiche e condivisibili dalla stragrande maggioranza della popolazione iberica: lotta alla corruzione politica, fine del sistema bipartitico, basta soldi pubblici alle banche, basta disoccupazione. Fino al 15 nessun media ufficiale ha preso in considerazione quello che sarebbe diventato un vero e proprio tsunami sociale; senza partiti né sindacati di mezzo non c’era molto appeal per i notiziari della sera, impegnati a coprire la campagna elettorale. Quasi nessuno, tanto meno gli organizzatori stessi di “Democracia Real Ya!”, si aspettavano quello che sarebbe successo di lì a poco.
Il 15-M Domenica 15 Maggio è una bella giornata in quasi tutta la Spagna, uno di quei giorni primaverili in cui non fa troppo caldo, si può già fare il bagno e si può consumare birra e tapas all’aperto senza prendere fresco. Di passaggio nel centro di Barcellona e sulla strada di casa, mi ricordo della manifestazione di cui avevo letto alcuni giorni prima sulla rivista di satira e fumetti “El Jueves”, l’equivalente spagnolo del “Vernacoliere” di Livorno. Con Agnese ci siamo messi a cercare il corteo e lo abbiamo trovato in Piazza Catalunya che ancora doveva partire. Grande colpo d’occhio, tanta gente, colore giallo predominante come simbolo di protesta, centinaia di cartelli e striscioni ma nessun simbolo di partito o sindacato. Ci siamo trovati vicino al furgone dell’organizzazione, allatesta del corteo mentre veniva letto il manifesto della piattaforma “Democracia Real Ya!”: il miscuglio già descritto di buoni propositi e indignazione di chi non ne può più e si è  finalmente reso conto di essere sfruttato da questa società. Già allora alcune contraddizioni balzavano agli occhi ma non abbastanza per offuscare la legittima ondata di entusiasmo nel vedere quindicimila persone autoconvocatesi in strada; quello che fino al giorno prima sembrava impossibile, cioè il passaggio dai forum di internet alle strade, stava avvenendo lì, in diretta, davanti ai nostri occhi. Quello che è successo quel giorno è già storia o addirittura mitologia per una parte del movimento: la decisione di occupare la Puerta del Sol a Madrid, le cariche e lo sgombero, la rioccupazione di Sol e di circa altre centosessanta piazze in tutta la Spagna. A Barcellona gli “Indignados” hanno marciato sulla Piazza Catalunya in centocinquanta circa e hanno deciso di accamparsi fino alle elezioni del 22 maggio. Di lì a poche ore sarebbero stati ribattezzati “acampados” dalla stampa main stream che cominciava a capire che si stava mettendo in moto qualcosa di grosso, qualcosa che era stato volutamente ignorato fino a quel momento ma che dal  giorno dopo non sarebbe più stato possibile ignorare.
Dopo il 15-M La cosa sorprendente di questo movimento è la quantità di solidarietà attiva che ha saputo convogliare su di sé da molti lati della società. Ciò è dovuto al fatto che questo movimento è composto da una massa eterogenea difficilmente catalogabile di individui: studenti, disoccupati, vecchi attivisti politici, punkabbestia, pacifisti, anarchici, religiosi e spirituali. Tutte queste persone, colpite in maniera più o meno diretta dai tagli al sociale dello stato e dalla crisi economica, si sono ritrovate nello stesso sacco: utili idioti in mano a banche e politici che devono votare ogni quattro anni e poi zittirsi. Da tempo mi chiedevo come fosse possibile che, in un paese che non cresce, con il 20% di disoccupazione (il 40% tra i giovani) e lo spettro della povertà diffusa sempre più incombente, la gente non si rivoltasse e scendesse nelle strade. Ora che questo è successo, dopo tanti anni di passività alimentata da calcio e soldi a rate, televisori al plasma e macchina nuova con gli incentivi statali, molte domande hanno avuto una loro  risposta. Eppure non è tutto oro quel che luccica. Chi c’è dietro il 15-M? All’indomani della creazione delle “acampadas” in tutta la Spagna, un settore del marxismo-leninismo iberico ha cominciato a far circolare voci (letteralmente) sinistre sulla piattaforma “Democracia Real Ya!”; secondo questi ultimi, i finanziatori occulti di questo movimento sono un gruppo di partitini alla sinistra del PSOE che, fiutato il gramo vento delle elezioni imminenti, hanno ben pensato di creare un movimento borghese di piazza col fine di strumentalizzarlo, per poi spuntar fuori al momento giusto e farsi interpreti parlamentari del malcontento pubblico. Nella maggior parte dei casi questi commenti sono stati dettati da invidia personale e rabbia che i “rivoluzionari di professione” provavano nel vedere qualche giovane sbarbatello riuscire laddove loro hanno sempre fallito. Eppure, c’è un fondo di verità sotto alle più becere teorie del complotto messe in giro: ad oggi non è chiaro dove sono stati raccolti i fondi per mettere in moto questo movimento e come faceva notare qualcuno, furgoni, impianto hi-fi e cartelloni bicromatici plastificati sono tutti costi oggettivamente non indifferenti per una piattaforma popolare appena nata dal nulla. Ad ogni modo, non credo che sia sano voler sempre vedere complotti, anche dove non ce ne sono; è probabile che il movimento 15-M sia nato sull’impulso di alcuni collettivi specifici legati a partitini di sinistra (qualcuno ricorda Rifondazione Comunista ed il “Partito di Lotta e di Governo” ecco, siamo lì) vogliosi di farsi spazio e raccogliere il voto degli arrabbiati. Se questo era il loro intento, hanno fallito.
Il 22 maggio Le elezioni del 22 maggio, ad una settimana esatta dall’inizio delle acampadas, hanno spazzato via il socialismo alla spagnola ed in generale hanno premiato partiti di destra e/o portatori di messaggi conservatori e xenofobi. Il PP ha vinto ovunque, Barcellona è caduta in mano a Convergencia i Uniò (CiU, nazionalisti catalani di stampo democristiano) dopo trentadue anni di sindaci socialisti e la mappa di tutta la Spagna si colora di azzurro “popular”.Tutta? No, come in Asterix, c’è una piccola parte del paese che rimane rossa. Vai a vedere e ti accorgi che si chiama Euskadi e che la sinistra indipendentista basca ha preso il 25% dopo dodici anni che lo Stato rendeva illegale qualsiasi partito del genere in questa regione (per la cronaca è risultato primo partito il PNV, nazionalisti-democristiani baschi, col 27%).Nel corso dell’ultimo decennio, prima la destra con Aznar e in seguito i socialisti con Zapatero, hanno provato a chiudere la “crisi basca” attraverso la tecnica del (tanto) bastone e della (poca)carota. Il bastone: illegalizzare qualsiasi partito si dichiari indipendentista e sia sospettabile di connivenza con ETA. Il principale esecutore delle illegalizzazioni è stato il giudice Garzon, famoso da noi in Italia per aver processato Pinochet; prima vittima di questo processo, il partito Herri Batasuna (Avanti Popolo, in basco), considerato l’ala politica di ETA e principale interlocutore dello stato nel corso di ogni trattativa avvenuta con ETA fino ad oggi. La carota: favorire il terreno a tutte le formazioni politiche che ripudino la violenza. Nonostante la decadenza militare di ETA sia chiara e irreversibile non c’è però stata una volontà chiara di Madrid di voler chiudere in maniera politica il conflitto basco, come fatto ad esempio in Irlanda del Nord. La novità di queste elezioni amministrative è stata la legalizzazione della lista Bildu, prima formazione dichiaratamente indipendentista e socialista che abbia avuto la possibilità di presentarsi alle urne in dodici anni. Alle urne i baschi hanno dimostrato in massa che la tolleranza zero verso chiunque non si cali le brache davanti a Madrid non paga; l’avviso è chiaro: ETA è finita ma adesso c’è da rispondere al voto popolare.
Il 27 maggio Finite le elezioni, finita la copertura mediatica positiva delle “acampadas”.Pochi giorni prima si potevano ascoltare cronache di amabili panettieri che regalavano viveri ai giovani rivoluzionari; ebbene, dall’alba alla notte quegli stessi giovani rivoluzionari sono diventati barboni incivili che danneggiano gli esercenti del centro di Madrid o Barcellona. Com’è avvenuto questo cambiamento?Mentre prima del voto tutti i partiti hanno cercato di accattivarsi le simpatie degli indignati col ritornello della“comprensibile rabbia”, a urne chiuse hanno richiamato all’ordine i pennivendoli di regime incitandoli a dar contro agli indignati. Tutto il processo di discredito e repressione è cominciato il 23 Maggio e ha avuto come apice il tentato sgombero di Piazza Catalunya.Le immagini delle manganellate dei Mossos D’Esquadra (polizia autonoma catalana) su manifestanti inermi hanno fatto il giro del mondo e hanno supposto una “vittoria tattica”degli acampados che hanno incassato un sostegno enorme da parte della società civile e hanno prolungato la spinta popolare che ha sostenuto fino ad oggi il movimento 15-M. Conclusioni sull’acampada BCN L’argomento del pacifismo integralista sta spaccando l’unità delle assemblee: secondo molte testimonianze una minoranza di stampo borghese sta imponendo al resto degli acampados la linea della non violenza passiva come unico mezzo di azione rivendicativo. La stessa minoranza che impone la linea sulla non violenza ha inoltre gettato la maschera proprio nel giro di queste ore, operando con tutte le sue forze affinché il resto dell’assemblea votasse a favore della mozione di sgombero della piazza durante la notte. Quello che sembra premere molto a questi “figuri”, spuntati solo adesso in piazza da quando le proteste sono cominciate, è la cessazione dell’acampada durante la notte in favore di una ricollocazione strategica nei quartieri. Gli stessi assicurano che le attività diurne continueranno normalmente a tempo indefinito (o fino alla fine della stagione estiva, aggiungono i detrattori di questo gruppo). Per assicurarsi di avere in mano il consenso della piazza questi riformisti hanno sabotato la stessa Commissione Comunicazione; prima rendendogli impossibile l’accesso allo script del sito dell’acampada e poi pubblicando in proprio la proposta di “ricollocazione” ancora da sottoporre a dibattito come se già fosse una risoluzione effettiva. Insomma, qualcuno sta spendendo molte più energie per controllare militarmente l’acampada che per trovare nuovi sbocchi alla protesta. Per fortuna il resto degli accampati ha ancora tanta voglia di lottare e anzi rilancia con un acampada davanti al Parlamento Catalano il 14 e 15 giugno e la simbolica “chiusura del parlamento” da imporre pacificamente ai politici catalani, colpevoli di aver portato a capo una serie di tagli pesantissimi (retalladas, in catalano) alla sanità, educazione e assistenza sociale….
Uno dei mille cartelli innalzati in Piazza Catalunya riporta queste parole che CapoTupac Katari pronunciò prima di essere ucciso dagli Spagnoli: “ Volverè y seré millones” . Tornerò e saremo milioni .


Ultimissima dai fratelli dei Paesi Baschi : l’ ETA abbandona definitivamente la lotta armata
video  http://youtu.be/PyXdh9yE00E
      
UN RURAL SQUAT IN PROVINCIA DI SIENA? ESISTE!
(Storia recente del Podere Occupato Campofico)

Siena ,Casa del Popolo, Festa dei bambini (1913)
Podere Campofico si trova al limite del comune di Sovicille, nella zona ovest della Montagnola senese, a meno di trenta km da Siena. Il podere è di proprietà della provincia di Siena, vicino al castello di Palazzo al Piano, che costituisce il fulcro della proprietà della provincia nonché l’immobile su cui sono stati sperperati fiumi di soldi pubblici negli ultimi anni. Nelle vicinanze del castello si trovano altri poderi della provincia, tuttora abitati: podere Mezzapiaggia, podere Cetapigna, podere Rassa, podere San Marco, quest’ultimo disabitato ma in ottime condizioni (chi cerca casa ci può fare un pensierino!). Dal sito internet della provincia di Siena si evince che nel triennio 2011-2014 tutta la proprietà immobiliare verrà messa in vendita, sulle modalità e altro vi rimando alle fonti istituzionali. La storia recente di Podere Campofico comincia nell’estate del 2008, allorchè il sottoscritto e un amico occupano una parte del podere. A quel tempo eravamo entrambi quotidianamente sotto sfruttamento salariale, per cui l’energia impiegata nel podere fu poca. Ovviamente mancava l’energia elettrica, l’acqua corrente e suppellettili e arredamento. Già a fine estate lasciammo il podere momentaneamente, decisi a tornarci più organizzati. Inoltre emersero problemi con gli abitanti di podere Mezzapiaggia , che si ostinavano a non volerci perchè stavamo rompendo l’equilibrio dei loro accordi(?) con la provincia. La loro meschinità si manifestò nella delazione dell’occupazione, e nella salvaguardia del loro orticello, cosa questa in cui hanno fallito(sic!). In ogni caso, a febbraio 2009 siam tornati e da lì comincia la storia dell’occupazione del podere, che dura tutt’oggi. L’interesse e la conoscenza di Campofico, nel bene e nel male, crebbe immediatamente. Comiciò a passare gente, molti si fermavano,veniva ripristinato l’orto, attivata l’acqua corrente tramite pompa ad immersione dalla cisterna di accumulo dell’acqua piovana, migliorata l’agibilità dei tetti, delle stanze abitabili e dei fondi che nel passato avevano ospitato maiali e vacche. Il podere si popolò di cani, poi arrivarono le prime capre, cominciarono le cene e i momenti di socialità, le prime iniziative, tra cui una festa controinformativa (contro-tv) e un natale in ricordo di Horst Fantazzini in cui lapartecipazione fu numerosa. Intanto una microproduzione di orto, di miele e occasionalmente di formaggio caprino erano attivate, nonché la cura e il ripristino diuna parte dell’oliveta sottostante, la maggior parte della quale rimane ancora ingoiatadal bosco. Crebbe la visibilità del posto, gli amori e gli scazzi, gli eventi e…inevitabilmente, la repressione. Già dopo un mese dall’inizio dell’occupazione la polizia provinciale assieme ad una isterica rappresentante dell’ufficio Patrimonio della provincia mi avevano fatto visita. In tale occasione mi intimarono di abbandonare il podere entro 48h, cosa che non feci, nonché mi propinarono una sfilza di “romanzine” varie sul mio comportamento illegale. Dopo qualche mese scattò la denuncia per occupazione e invasione di edificie terreni pubblici, procedimento tuttora in corso. A gennaio 2010 era stato fissato lo sfratto esecutivo del podere. La visita da parte dei carabinieri, dell’ufficiale giudiziario, dell’avvocato della provincia e del fabbro trovarono una trentina di solidali con Campofico attivi contro lo sfratto. Quella mattina lo sgombero non si fece,ma purtroppo, in parte per la nostra disorganizzazione e inesperienza, in parte per lamancanza di maggiore determinazione, le autorità portarono scompiglio al podere.Nelle settimane seguenti arrivarono i primi 6 fogli di via contro alcuni degli amici intervenuti, col divieto di permanenza nel territorio comunale per la durata di treanni! Successivamente si sono verificati altri episodi di controllo poliziesco, altre due persone sono state colpite dall’obbligo di allontanamento dal comune di Sovicille, i commercianti del paese di Rosia sono stati visitati dalla Digos senese, la quale gli ha intimato di non attaccare i nostri volantini e flyers delle feste/iniziative.Il podere si è caratterizzato in questi anni come un posto aperto, e la gran quantità di persone passate ne è testimonianza, come ricovero per persone senza casa e lavoro, come laboratorio, seppur frammentario, di esperienza sociale e politica di autogestione. Forse la mancanza di un gruppo di affinità sia progettuale che umano non ha permesso finora di esprimere le potenzialità che il posto meriterebbe. Anche l’interazione propositiva e costruttiva con persone e posti del circondario, nonché una conflittualità alle politiche scellerate del territorio, ha spesso ceduto il passo a dinamiche di mera sopravvivenza del posto. La mancanza di continuità nelle attività sia sociali che autoproduttive è la prova di un percorso non sempre facile da portare avanti, e spesso l’ospitalità aperta ha indebolito le energie dei residenti, già peraltro non eccelse! Chi vi scrive non fa più parte dell’esperienza del podere, ma ne rimane in contatto. La vita del podere va avanti, con le sue storie tutte uniche e particolari. Vorre soffermarvi su alcuni episodi, quelli più spassosi, quelli più negativi li tralascio, anche per non dare fonti all’autorità, che già ne dispone a iosa tramite il suo asfissiante controllo quotidiano  #Arrivò al podere una ragazza, che chiamiamo Bea, taciturna e depressa, che si dichiarò in viaggio per l’Italia. Nel frattempo, nel programma di RaiTre “Chi l’ha visto”, canale che nel podere non era visibile, era aperta la caccia alla ragazza da parte dei familiari preoccupati di non avere alcuna notizia, con tanto di ipotesi di un eventuale affiliamento-rapimento della figlia da parte di una setta esoterica-religiosa. Siccome la tipa non conversava molto, portava già da settimane gli stessi indumenti e puzzava assai, fu esortata più volte dagli abitanti del podere a lavarsi. Il suo rifiuto costante irrigidiva i rapporti ancor di più, finchè un giorno, sotto pressione del lavaggio, sbottò: “basta, lasciatemi, io non mi lavo, perchè sono pankabbestia come quello lì”. Quello lì era Ciccio, uno degli abitanti del posto, poco incline alla pulizia personale e pankabbestia dichiarato. Il tentativo di far lavare la tipa, nonostante  Ciccio si immolasse al dio-lavaggio come esempio, fallì miseramente!# # Il primo maggio 2010 Campofico aveva organizzato un comizio nella piazza delcomune, a Sovicille. L’orario era fissato per le undici del mattino, un amico e compagno anarchico, dotato di oratoria fluente, doveva aprire il comizio. Senonchè lasera precedente c’era una festa auto-organizzata a Simignano, un borgo vicino Campofico, col coro dei maggiolini, tanto cibo e vino. La totalità dei campofichini si sbronzò pesantemente alla festa e tornò a casa a giorno. Poche ore dopo doveva tenersi il comizio, che si svolse in una piazza desolata e terribilmente assolata, all’ora di pranzo. Gli scazzi tra i puntuali e i ritardatari avevano già preso il sopravvento,finchè fu risolto il problema del microfono attaccandosi clandestinamente a una presa di corrente della chiesa vicina. L’unica curiosa che si avvicinò al comizio fu una vecchia del posto, mezza sorda e abbastanza rimbambita, ma che manifestò tutta la sua simpatia spontanea allorchè, notato il mega-cane dell’oratore legato a un angolo della piazza, prese a gridare:”povera bestiolina, ha sete, ora t’abbevero io”. Tale cane non aveva proprio un aspetto rassicurante, era enorme e fasciato per un intervento veterinario precedente. Per pochi secondi la sensazione che la vecchietta finisse sbranata nel mentre rimbombava la voce potente dell’oratore” compagni,riprendiamo la lotta!”, fu forte. Invece la simpatica vecchietta ebbe anche il tempo di gridare ai presenti:”Poverino, ci ho pensato io. Ma che succede qui? C’è il comizio, signò! Che, che inizio? Il comiziooo, deel primoo maggioooo!! Ah, no-io non ne so niente!” E se ne tornò lemme lemme a casa sua.# Aldilà di ques
ta sommaria e parziale ricostruzione della storia di Campofico, la miglior cosa è recarsi direttamente a far visita all’unico RURAL SQUAT in provincia di Siena e, male che vada, apprezzarne il magnifico paesaggio circostante, magari alla ricerca di funghi, asparagi, tartufi o castagne a seconda della stagione.
Podere occupato Campofico: da Colonna di Montarrenti proseguire in direzione di Colle val d’Elsa per 5km, poi svoltare a destra per la cava Marronetone, poi prendere la prima a sinistra e salire al podere.
(Johnny Stecchino)
Schede storiche sovversivi
Silvio Quintavalle, il minatore,l’anarchico, l’antifascista        
Nato a Massa Marittima il 17 luglio 1898 fa sin da giovane il minatore e professa idee anarchiche. Mandato al fronte durante la prima guerra mondiale, prende parte nella primavera del 1919, insieme gli anarchici Primo Morelli, Giuseppe Stefanelli, Domenico Montagnani e Luigi Guazzini, a una clamorosa protesta contro i carabinieri mentre è in licenza a Massa Marittima. Alla fine del 1920 viene denunciato, insieme ad altri compagni di fede, per la colluttazione con ex interventisti e per il conseguente ferimento di un volontario fiumano. Nemico dei fascisti, impartisce nel 1921 una dura lezione al temibile squadrista Silverio Zanetti davanti alla cattedrale massetana. Licenziato dalla miniera Montecatini di Gavorrano per rappresaglia politica, fa parte, nell’ottobre dello stesso anno, insieme a Fortunato Signori, Rizieri Guazzini, Tornielli e altri sovversivi, del gruppo di anarchici che malmenano e mettono in fuga una squadraccia in piazza Garibaldi. Il 30 agosto 1922 con ormai al potere il fascismo emigra in Francia (insieme all’anarchico di Monterotondo Marittimo Eligio Pozzi, già esponente della Camera del lavoro sindacale di Piombino) e fissa la residenza a Bligny, dove fa il minatore. Spostatosi in Belgio, lavora alla teleferica di Erehilimes, poi presta la sua opera, fino al 1924, nello stabilimento siderurgico di Montigny – sur – Sambre, dove sottoscrive in favore del «Libero accordo» di Roma, insieme agli anarchici Italo Giannoni, Antonio Armeni (“Toppa”), Primo Morelli e Rustici e ai comunisti grossetani Russo Facchielli (già “ciclista rosso”) ed Emilio Martellini. Nel giugno del 1925 fa pervenire, da Couillet, un altro contributo al giornale libertario della capitale, insieme agli anarchici maremmani Zeffiro Bertini e G. Tanagli. Nel 1926 abita ancora a Montigny – sur – Sambre, mentre nel 1927 risiede a Sedan, da dove manda dei piccoli contributi, insieme a Italo Giannoni, ai periodici anarchici «Il monito» e «La Diana». Nel marzo 1928 è oggetto di una lettera, in cui il console fascista italiano di Charleroi si rammarica del fatto che le autorità belghe si rifiutino di espellere questo “sovversivo”, dal “carattere esaltato e sornione”, perché nel 1925 ha sposato una ragazza belga, dalla quale ha avuto un figlio. L’11 gennaio 1930 Quintavalle viene iscritto nel «Bollettino delle ricerche» e il 2 marzo rimpatria per fare visita alla madre ammalata. Perquisito “infruttuosamente” alla frontiera, alla fine del mese torna a Montigny, dove rimane sino al primo dicembre, quando rientra definitivamente in Italia. Assunto nella miniera di Niccioleta, viene fermato il 4 giugno 1933 per misure di pubblica sicurezza e nel novembre 1934 è fermato di nuovo, dopo che alcune bandiere italiane, esposte a Massa Marittima per celebrare la vittoria della prima guerra mondiale, sono state gettate in una vasca. Prosciolto per mancanza di indizi, è oggetto, il 30 settembre 1936, di una relazione dei carabinieri di Massa Marittima, i quali sostengono che sarebbe opportuno allontanarlo dalla miniera di Niccioleta, perché è “elemento pericoloso” e “capace di svolgere propaganda sovversiva”, per di più collegato ad altri minatori di idee sovversive, tra cui l’anarchico Menelik Giusti di Monterotondo, il comunista Romeo Lippi di Vernio, Engels Lambardi di Montieri, il socialista Primo Olivelli di Santa Fiora e i sovversivi Gino Lolini di Monterotondo Marittimo, Ruggero Romani e Estido Verni di Abbadia San Salvatore. In quello stesso periodo Silvio partecipa alle riunioni semiclandestine, che si  tengono nella trattoria Pollazzi di Borgo, insieme agli anarchici Giuseppe Gasperi e Libero Corrivi e ai comunisti Enrico Filippi ed Elvezio Cerboni: riunioni disturbate talvolta dai fascisti, che invadono il locale e cacciando tutti i presenti, somministrando nerbate e bastonate. Il 19 giugno 1938 viene schedato dalla Prefettura maremmana. Il “cenno” biografico ne ricorda l’attività di propagandista e la pericolosità, i trascorsi politici e penali e le perquisizioni che ha subito; segnala inoltre che Quintavalle lavora nella miniera della Zanca e che continua ad abitare a Massa Marittima. Crollato il fascismo il 25 luglio 1943, Silvio collabora con i partigiani e fa parte del CLN massetano, poi, dopo la liberazione, riprende il suo posto nel movimento anarchico e diffonde ed affigge sotto le logge nella bacheca del Gruppo Anarchico Pietro Gori della FAI ,«Umanità nova», «L’adunata dei refrattari» e altri fogli libertari fino alla morte, che lo coglie a Massa Marittima nel marzo 1978. ( l’autore di questa rivista ricorda la sua generosità, che lo portò ad offrire metà bacheca a noi studenti di Lotta Continua) I compagni ne ricordano, il 2 aprile, la “coerenza impareggiabile ,la generosità: persecuzioni monarchiche e fasciste rafforzarono il suo carattere e fu sempre in prima fila nelle lotte per la redenzione e rivoluzione sociale”.
(Scheda di Fausto Bucci, Manlio Gragnani, Michele Lenzerini, Aldo Montalti)
Antonio Gamberi ,il poeta socialista ,l’antifascista irriducibile   
Nato a Grosseto il 16 maggio 1864, aveva seguito la famiglia a Tatti, dove la morte del padre lo aveva costretto a lasciare gli studi dopo la seconda elementare, per guadagnarsi da vivere prima con le “faccende” della campagna e poi con la legatura dei libri o facendo, occasionalmente, il garzone in miniera. A 14 anni era tornato sui libri per migliorare il suo italiano,poi, quando ne aveva trenta, aveva fondato la sezione socialista di Tatti. Nella lunga e difficile battaglia per la difesa dei diritti di legnatico dei tatterini affiancò il medico condotto Goffredo Iermini, che era l’alfiere della lotta, e, come lui, fu condannato il 12 novembre 1895 a tre anni di domicilio coatto dall’apparato repressivo dello Stato che parteggiava per il principale avversario della popolazione di Tatti, un latifondista di Siena. Tornato in libertà dopo la revoca del provvedimento, Gamberi si prodigò, dal 1896 al 1898, per lo sviluppo della Camera del lavoro di Massa Marittima,tra le prime in Italia, insieme al repubblicano Leopoldo Gasperi e ai socialisti Varese Parrini e a Narciso Fedeli. Trasferitosi nel 1904 a Roccatederighi, collaborò regolarmente all’«Etruria nuova». Dei suoi articoli di quel quadriennio, firmati spesso con gli pseudonimi di “Rinio” o di “Nagario”, meritano di essere ricordati quelli sui preti, sugli “incappati” e sui brogli elettorali. Ateo convinto, espresse sugli “incappati” o flagellanti di Roccatederighi giudizi simili a quelli di altri socialisti o anarchici (come Pietro Ravagli e Florindo Andreini), che quelle forme di religiosità popolare condannavano senza appello: “Il venerdì Santo a Roccatederighi, fu giornata di teppa clericale. Dalla processione di mezzogiorno a quella serale fu tutto un cimentare, un provocare, specialmente la gioventù, da parte di una banda di incappati, gente settaria, intollerante e brutale; spurgo, il peggiore, della tradizionale e famosa disciplina; avanzo di gabbacristi che sorge dai fondacci di sacrestia per ammorbare l’ossigeno pubblico e turbare la pace dei liberi cittadini, con parole ingiuriose, con invettive da truogolo….”In più di un’occasione mise la sua penna al servizio di altri sovversivi ingiustamente perseguitati, come Elia Baldanzi, un anarchico roccastradino, condannato nel 1900 per aver commentato l’uccisione di re Umberto con queste parole: “Hanno ammazzato l’orso”. Una condanna a 16 mesi di reclusione lo spinse a riparare in Svizzera e in Francia. Sull’espatrio clandestino Gamberi scrisse nel 1908 una lirica:“La mia fuga”, che apparve su «La Blouse» di Firenze, la “rivista di letteratura operaia, compilata esclusivamente con scritti originali dei lavoratori del braccio”. Oltr’Alpe, dopo essere passato per Lugano e Auboué, trovò rifugio a Joeuf, dove dimorò per quasi sette anni, continuando ad inviare articoli e poesie ai giornali e alle riviste socialiste e sindacaliste italiane. Per viverefaceva il manovale e il minatore, ma la sua gracile fibra lo obbligava spesso a ripiegare sulla vendita di libri e giornali politici fra i nostri emigranti. A Auboué era attiva una piccola “colonia” di tatterini e roccastradini, che si aiutavano reciprocamente e lo aiutavano in caso di bisogno. A Joeuf Gamberi visse finoal ’14, quando, sospesa la pena, rientrò in Italia. Il conflitto mondiale ardeva già e il poeta si schierò subito al fianco dei pacifisti, dando vita a Roccastrada e a Roccatederighi, con molti di loro, ad alcune accese manifestazioni antibelliche, che si conclusero con gravi scontri, devastazioni delle case degli interventisti e molte denunce. A guerra finita confermò le sue scelte massimaliste e tenne diversi comizi a Tatti, a Boccheggiano e a Scarlino. Pietro Menichetti, dirigente socialista, ricordava così Antonio Gamberi: “Era socialista, i suoi abitavano a Tatti. Una volta l’ho sentito parlare a Massa Marittima, forse dopo la prima guerra mondiale. Era molto amato dai compagni e in genere dai sovversivi, vestiva poveramente, aveva una voce potente, una capacità di improvvisare straordinaria. Sapeva anche cantare e piuttosto bene. A Massa capitava anche per vendere i suoi libri. Allora veniva con una ciuca o una mula, portava i libri, che erano accolti con molto piacere dai compagni.” Intanto dedicò una lirica in onore di Sante Cigni che era stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento dei disertori della Banda del Prete, della quale facevano parte gli anarchici Curzio Iacometti, Chiaro Mori ( poeta in ottava rima che ancora nel secondo dopoguerra chiedeva contrasti poetici in quel di Pianizzoli !), Italiano Giagnoni, Primo Menichetti e il socialista Giuseppe Maggiori. Sante Cigni morì in carcere a primi del 1919. Intanto nella provincia maremmana montava l’ondata fascista e nel luglio ’21 ci fu la strage tremenda di Roccastrada, durante la quale i fascisti trucidarono Vincenzo Tacconi e Luigi Nativi ed altre otto persone. Meno di un anno dopo, il 13 maggio 1922, lo squadrista Soldatini bastonava selvaggiamente il poeta a Roccatederighi, lasciandolo ferito in un campo. Non confidando nei magistrati, Gamberi non denunciò l’aggressore e, qualche tempo dopo, riprese la strada dell’esilio, fermandosi ancora una volta a Joeuf. A quasi sessant’anni era di nuovo fuori dall’Italia, all’estero: solo, in cattive condizioni di salute, in un paese che non era tenero coi sovversivi stranieri, che continuavano “a far politica”.Per qualche anno il nostro fece il manovale per la società mineraria di Joeuf, poi tornò a vendere opuscoli e giornali antifascisti e nel ’26 fu colpito da un provvedimento di espulsione, che venne sospeso grazie alle proteste di alcuni deputati comunisti e socialisti francesi. Lo stesso anno riuscì a dare alle stampe a Parigi, per i tipi di A.R. Morelli, un altro grosso tomo: “Battaglie antifasciste”, di 264 pagine, che raccoglievano le poesie scritte dal 1921al 1925, usando talvolta (in “Moniti”, ad esempio) l’ottava rima: Fra i personaggi politici rammentati non mancavano Costantino Lazzari e Paolo Valera, Giacomo Matteotti e Roberto Marvasi. L’otto agosto 1926 Gamberi venne fermato dai gendarmi francesi alla frontiera del Lussemburgo con un certo numero di copie del suo ultimo libro e respinto nel paese confinante. Tornato più tardi a Joeuf, venne arrestato nel 1928 con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di un prete della “Bonomelli”, spia strettamente legata ai fascisti, che era stato ucciso dall’anarchico scarlinese Angiolino Bartolommei. Per questo il foglio fascista “Maremma” ( che condusse tra le varie nefandezze una campagna a difesa della razza tra il ’38 e il ’44 ) gli augurò di finire fucilato con dieci pallottole nella schiena. Riconosciuto estraneo al fatto e scarcerato, nonostante le forti pressioni del governo italiano, Gamberi dovette peregrinare per diversi anni fra il Belgio, il Lussemburgo, la Catalogna e la Francia, dove nel 1932 vide la luce il suo quinto volume di poesie: “Rime sparse”, dal contenuto fortemente antimussoliniano. Lontano e ostile agli stalinisti, il nostro conduceva una vita stentata, nonostante l’aiuto che gli fornivano i massimalisti Silvio Barberini, Alfredo Barbati (poeta anche lui), Adolfo Catoni e Giuseppe Fusero (più tardi miliziano in Spagna nella Colonna internazionale Lenin ) e l’anarchico Gaetano Capitani. E proprio grazie a Barberini poteva apparire nel ’37 il suo ultimo opuscolo a stampa, “Epopea spagnola”, 16 pagine in ottava rima, pro Spagna rivoluzionaria. Nonostante i suoi 73 anni, Gamberi si occupava dell’arruolamento dei volontari antifascisti per la Spagna e figurava ancora – non avendo mai ceduto al nemico di classe e alla dittatura – nell’elenco degli attentatori maremmani, insieme agli anarchici Settimio Soldi, Picche Cignoni, Angiolino Bartolommei, Pilade Grassini. L’impegno non gli impediva di commentar
e, con nuovi versi, che stilò quasi giornalmente fino al 1939, la tragica corsa dell’Europa verso la catastrofe. La morte lo colse a Joeuf, dove si spense nel 1944, a 80 anni. La notizia della sua scomparsa fu portata l’anno seguente a Tatti, al nipote prediletto Duilio Fiacchi, da Zeffiro Bertini e Dino Cillerai, due compaesani tornati in Italia dopo vent’anni di esilio.
Moniti
Non mi sorprende che la borghesia
invecchiata, decrepita, infrollita
smarrisca la ragion, perda la via,
come una delirante rimbambita;
né che a tanti delitti scesa sia,
macchiando eternamente la sua vita.
È lo sforzo supremo d’una classe,
per reggersi al dominio sulle masse.
È legge umana che, quando s’avanza
il ceto proletario sottomesso,
usi il dominator tracotanza,
oltre le leggi, oltre il costume stesso.
Talché, da un lato, abbiamo la speranza,
dall’altro, il buio tenebroso e spesso;
ma il nuovo, sempre forte del diritto,
prima e dopo, trionfa nel conflitto…
(Da Battaglie antifasciste, 1926)
(Scheda a cura di Fausto Bucci)
N. d. R. Nel giugno ’44 liberata da alleati e partigiani Roccatederighi, gli anarchici andarono a prendere casa per casa i fascisti che, negli anni venti, avevano distrutto il busto eretto in ricordo del maestro libertario Francisco Ferrer fucilato a Barcellona nel 1908. Maestro a cui il Gamberi nel 1913 aveva dedicato una poesia che dava il titolo ad una sua corposa raccolta di liriche: “L’assassinio di Francisco Ferrer”. I fascisti avevano rotto il monumento in vari pezzi gettandolo in una fossa biologica e in un orinatoio. Sotto la concreta minaccia di una carica di legnate avvalorata da diversi calci in culo e schiaffoni, i vandali furono costretti a ripescarlo, restaurarlo ed erigerlo. Purtroppo, morendo in quei giorni, il Gamberi non riuscì a vedere la nuova inaugurazione. Il monumento è sempre lì, a monito e ricordo, che le dittature passano, le idee restano. ( S.P.)
Letti per voi:
Alexander Trocchi     Young Adam e Il libro di Caino      Fandango libri
Alexander Trocchi (Glasgow 1925-Londra 1984) Di lontane origini italiane, visse negli anni ’50 e ’60 tra Parigi e New York e si impose alla critica come uno dei più talentuosi scrittori di quel periodo. Nonostante la sua tossicodipendenza da eroina e alcool e una vita sempre al limite che lo portò persino a sfruttare le sue compagne, esordì con Young Adam e numerosi racconti e articoli per riviste letterarie. Fondò Merlin una rivista letteraria che pubblicò autori proibiti all’epoca come De Sade, Miller, Beckett, Apollinaire, Nabokov, il che gli costò uno di suoi numerosi arresti. Nel 1961, durante una trasmissione televisiva sulle tossicodipendenze, si drogò in diretta finendo in carcere. Lo stesso anno Il libro di Caino, la sua autobiografia non dichiarata, diventò un best seller, ma da allora Trocchi non riuscì più a completare un romanzo. Morì a Londra nel 1984 in povertà assoluta debilitato da una più che trentennale dedizione alle droghe.
Don Andrea Gallo invece crediamo che non abbia bisogno di presentazioni.
Partigiano cattolico, marinaio e prete ribelle genovese fondatore della Comunità di S. Benedetto al Porto, ostinatamente dalla parte degli ultimi, vi segnalo il suo libro  precedente: Angelicamente anarchico e adesso:
Don Andrea Gallo    Così in terra come in cielo     Mondadori
Imparare dall’Africa
Due ragazzi della quarta liceo, compagni di banco, scapparono di casa. Chiamarono dopo un mese e dissero di trovarsi a Niamey, in Niger. I genitori mi chiesero di convincerli a tornare e partii in missione. La vista di tanta miseria mi accecò d’ira. Mi chiedo con che coraggio neghiamo l’ingresso a chi fugge da lì per trovare ricovero in Europa. Un vero credente non riesce a sbattergli la porta in faccia. Mia madre, convinta cristiana, su questo punto non transigeva. Quando in TV sentiva farneticare di espulsioni, CPT, respingimenti, lei che in guerra ha testato l’importanza della solidarietà era a dir poco sdegnata. Io, per proteggerla, cercavo di giustificare le dichiarazioni dei politici e degli intervistati: “Mamma, lascia stare. Li devi scusare, sono ignoranti”. E lei lapidaria, certa di stare dalla parte di Gesù, rispondeva: “Non sono ignoranti. Sono cattivi, è diverso. Un pezzo di pane non si rifiuta nemmeno a un cane”.Quanto aveva ragione, una donnina che a malapena aveva la terza elementare. In Africa incontrai un fotografo che, durante uno dei suoi reportage, fu colpito da una giovane donna che portava un fardello sulle spalle. La vide arrivare da lontano, sola, affaticata, barcollante a causa del carico, un sacco che gocciolava. Le disse: “ Fermati sei troppo piccola per portare questo peso”. Lei rispose: “ Non è un peso: è mio fratello”.
Libri di e sulla Fotografia da non perdere:
Ferdinando Scianna     Autoritratto di un fotografo    Bruno Mondadori
La storia di Coglitore
La scena me la ricordo come se la stessi vivendo. Mio padre mi guardava attonito. Il fotografo ! Continuava a ripetere: il fotografo ! Ma che mestiere è ? Non si capacitava. Non riusciva a capire da dove saltasse fuori questa idea che distruggeva tutte le speranze da lui riposte nel mio avvenire. Il fotografo ! E fu a quel punto che pronunziò una frase straordinaria : fotografo, uno che ammazza i vivi e resuscita i morti. Passarono anni prima che potessi decifrare l’incredibile portata filosofica di quella frase, di quella definizione. Avrei dovuto leggere Oliver W. Holmes, il Roland barthes della Camera chiara per arrivare a penetrare la relazione capitale tra la morte e la fotografia. Ma mio padre non era un filosofo. Per lui, scoprii dopo, quella frase aveva una origine squisitamente autobiografica. Quando ero bambino al paese c’era un solo fotografo, si chiamava Coglitore. Un nome perfetto, ho sempre pensato, per uno che fa il fotografo. Succedeva che al paese, in quegli anni, ci fossero molti vecchi che non si erano fatti mai fotografare. I figli, con aria insinuante, li sollecitavano : papà, perchè non ti fai fare una bella fotografia? Così ci resta il ricordo. I vecchi capivano perfettamente dove volevano andare a parare. Un bel ritratto, magari direttamente stampato su un ovale in vetroceramica, da mettere sulla tomba. E col cavolo che si facevano fare la foto. Un po’ per scaramanzia un po’ per residuo di antico rifiuto islamico delle immagini. Accadeva così che morissero e che non ci fossero ritratti da poter usare. A quel punto veniva chiamato Coglitore, il quale faceva un bel primo piano del morto. Dopo di che con grande perizia artigianale, a matita, direttamente sulla lastra, gli disegnava gli occhi. Era molto bravo Coglitore e quando presentava il ritratto finale, invariabilmente, con orgoglio commentava: Non pare vivo? Il guaio è, però, che si era talmente specializzato nel ritratto del caro estinto che quando fotografava i vivi, per esigenze di passaporti o carte identità, ne venivano fuori immagini piuttosto cadaveriche. Fotografo, uno che ammazza i vivi e resuscita i morti.Mai più mi è capitato di imbattermi in una così straordinaria definizione del mestiere di fotografo.
Michele Smargiassi     Un’autentica bugia- la fotografia, il vero, il falso      Contrasto
Un libro molto ben argomentato, interessante, stimolante, con una bellissima bibliografia….
“la fotografia non sa mentire ,ma i bugiardi sanno fotografare” scriveva nel 1909 il grande fotografo Lewis Hine.…..il ricorso alla post produzione è nella disponibilità dei fotografi già in era analogica: non è affatto un’invenzione di Photoshop. Ma possiamo ammettere che la consapevolezza di poter ricorrere a comodi e potentissimi strumenti di post produzione oggi altera a priori ( molto più che nell’epoca analogica) il progetto di produzione di un’immagine fotografica. Già in partenza, ancor prima della cattura dell’immagine primaria, il metodo di lavoro del fotografo digitale prevede la possibilità dell’improvement. L’istante decisivo di Cartier Bresson può essere oggi ricostruito a piacere su un monitor……
Il Fotografo Contro di questo numero: Tano D’amico        www.arengario.it/tano/index.htm
Tano D’Amico è la memoria fotografica degli anni ’70 e non solo. Con il suo bianco e nero schierato ha raccontato i movimenti del ’68, le lotte per la casa, il ’77, il movimento delle Donne, gli immigrati, cercando sempre di dare voce agli ultimi e agli invisibili

L’angolo del cestino e mail con articoli, critiche, invettive e accidenti a stefanoulisse@libero.it
Sul sito di “Massa Comune”il 20 settembre è apparso l’articolo uscito nel numero scorso su pantere e palle varie, con un commento di Gabriele Galeotti, riporto la mia risposta.
Caro Gabriele, anzitutto vi ringrazio per aver ospitato quel che scrivo in “Maremma Libertaria” sul sito di “Massa Comune”. Spero di poter ricambiare,credo che volendo gli argomenti e le polemiche non manchino. Siamo lontani politicamente, ma non mi dispiace il fatto nuovo della vostra opposizione che quanto meno ha scosso un paese in agonia, riportato molti all’impegno diretto e surclassato una destra improponibile. Credo che hai capito bene, cioè male. Ho letto la posizione di Massa Comune sul restauro dell’affresco, ovvio che non si limitava alle palle mancanti, ma che fosse molto più articolata. Persino possibile e forse probabile. Ma il fatto è che sui media locali e nazionali e nella vulgata degli abitanti le lastre e le scaline massetane, quella è passata. Senza rimedio. E magari ottenendo l’effetto opposto a quello auspicato. E, soprattutto, sfortunatamente sommandosi all’effetto “pantera”, (il mio articolo è di agosto, e non mi risulta che nessuno di Massa Comune abbia preso posizione contro il delirio panteresco…) ha fatto di Massa Marittima uno zimbello poco simpatico, una pubblicità negativa, per non dire alla maremmana, una figura di merda. Persino oltre i confini nazionali, credimi. Da qui il mio voluto sarcasmo, niente di personale. Odio  faide, provincialismi medioevali,esaltazione del proprio campanile, (non ne ho mai fatto mistero), la mediocrità fatta virtù e potere ottuso, e l’assenza totale nel governo di un territorio di una sana utopica condivisione reale dei problemi e delle soluzioni da adottare ( leggi autogestione e coinvolgimento dei cittadini non più sudditi)
Buone cose.
Abbiamo poi ricevuto la seguente e mail di Massimo Sozzi, professore e scrittore massetano in quel di Firenze
Grazie per avermi inviato la rivista, che ho letto con molto interesse. In particolare trovo vergognoso l’episodio razzista di Follonica e sono rimasto sorpreso da quanto successo a Matteotti a Siena, vicenda che non conoscevo affatto. Per quanto riguarda il mancato riconoscimento alla memoria di Daniele Boccardi e Sebastiano Leone, trovo, purtroppo, che non siano gli unici casi dimenticati dalle amministrazioni massetane che si sono succedute nel tempo: Boccardi e Leone sono infatti in compagnia di altri illustri nomi. Solo per ricordarne alcuni: gli storici Stefano Galli da Modigliana, Luigi Petrocchi e don Enrico Lombardi. Come ben sai, a questo proposito, i latini dicevano: “Nemo propheta in patria”. Sarebbe l’ora però che a qualche “propheta” venisse riconosciuto il suo valore: Boccardi e Leone se lo meriterebbero senza alcun dubbio. Grazie ancora e provvedo subito a divulgare la tua rivista. Buon lavoro.     Massimo
Grazie Massimo! Alla tua lista mi dicono in diversi di aggiungere anche Enrico Filippi, medaglia d’argento della Resistenza (!) da molti anni anche lui in attesa di una strada….della serie: al peggio non c’è mai fine !
Altra mail da Barcelona dal regista e scrittore maremmano Umberto Lenzi
Mi congratulo, è il miglior periodico CIVILE della Maremma ormai malridotta da una politica conformista, cerchiobottista, piccolo borghese, pretaiola, e da politicanti che hanno dimenticato la tradizione delle lotte dei minatori, dei boscaioli, dei contadini del secolo scorso. Se credi, scriverò un pezzo sulla Rivoluzione anarchica a Barcellona nel 1936 e sui massetani che vi hanno direttamente e indirettamente partecipato.
Saluti libertari, Umberto Lenzi
Grazie Umberto, davvero troppo buono. Invece aspettiamo sin d’ora ogni contributo scritto che ci vorrai inviare.
Arriva invece da Grosseto un breve racconto di Alessandro Angeli, scrittore e amico dai tempi del Fondo Boccardi
Marxiani
Quando ero piccolo avevo due robot, uno era nero si chiamava Baron Karza, l’altro bianco e si chiamava Fox Commander, io quando ci giocavo pensavo che Fox Commander era quello buono, perché era bianco, ma assomigliava ai soldati bianchi intubati di Lord Fener, quelli di guerre stellari e loro erano tutt’altro che buoni. L’altro invece, Baron Karza, si vedeva dall’espressione che era cattivo e poi ogni tanto sentivo dire alla televisione delle sgroppate di Causio, che chiamavano il barone e giocava nella Juventus, allora avevo deciso che Fox Commander era quello buono. Alle volte alla televisione mentre giocavo sentivo uno dalla voce calma che parlava di anni luce, aveva non tanti capelli e la cravatta e parlava calmo, ma si vedeva che sapeva un sacco di cose. Gli anni luce lì ho sentiti dire un sacco di volte anche crescendo, ma non me ne è mai fregato tanto. Però anch’io delle volte parlando con qualcuno ho detto anni luce e quando uno pensa agli anni luce per forza s’imbroglia, perché gli anni passano lentamente, mentre la luce arriva subito, più o meno, se la paghi dice un mio amico. Anche il fatto di pagare la luce comunque è un po’ fantascientifico, no? Comunque a me non mi è mai piaciuta tanto la fantascienza, forse per la parola in sé, perché quando dici fantascienza ti riferisci sempre a qualcosa che sai dov’è, sai quali sono i film, quali sono i libri, gli argomenti è un po’ come per mia mamma andare alla coop, che ormai ci va a occhi chiusi. Penso poi sia anche colpa del Dottor Spock di Star Trek, quello con le orecchie lunghe, con quella faccia da banchiere di Mediolanum e quelle orecchie lunghe, secondo me proprio non è credibile. Insomma io per tutte queste cose sono cresciuto avendo un po’ in odio la fantascienza, le uniche due cose che mi piacciono sono Fahrenheit 451 e 2001 Odissea nello spazio, ma quelle secondo me non sono solo cose di fantascienza o forse si, boh. Comunque io ho scritto tutto questo perché oggi che finalmente è il mio primo giorno di ferie, sono uscito di casa con il cane e dopo un po’ che camminavo mi è successa una cosa strana. Ho visto un ufo. Il fatto è che ero solo col cane e nessuno mi crede e tanto meno crede al cane anche se abbaia più forte. Allora c’era questa astronave blu, anzi no gialla, che non è che volava, dondolava come la mezzaluna per tagliare il prezzemolo e mentre io leggevo Landolfi la guardavo, ho tirato su pure la visiera del cappello per vederla meglio e anche loro mi guardavano. Quello che guidava poi era tutto giallo, anzi no blu e mi salutava con la mano ed io non ci volevo credere che un ufo mi salutasse, visto che a me qua non mi saluta mai nessuno ed ero anche preoccupato che dovevo offrirgli da mangiare, visto quello che si dice sulle abitudini alimentari degli ufo. E insomma io ero tutto contento che avevo stabilito questo contatto interstellare, quando è arrivato un vigile urbano che mi ha chiesto se avevo la paletta per la cacca del cane, allora io ho detto sì e lui subito mi ha detto: “Fammela vedere”, ma io non ce l’avevo e il vigile ha cominciato a scrivere, ma era un vigile strano e mentre scriveva gli scappava da ridere. Poi quando l’ho guardato bene ho visto che aveva tre occhi invece di due e un attimo dopo un fascio di luce lo ha portato via. Io non ci capivo più niente, mi venivano in mente i pensieri più strani, mentre il cane tranquillo annusava l’erba. Allora visto che era la prima volta che prendevo una multa dagli ufo o marxiani ho provato a leggere il foglio e c’era scritto così:
le parole sono come le rondini,non toccano mai il suolo.
Ho alzato la testa e quelli vestiti da giardinieri ridevano. Sulla navicella che stava riprendendo quota c’era dipinto un grosso cerchio con dentro una falce e un martello.    
La scrivania di Luciana
Lettere di Luciana Bellini, scrittrice contadina in quel di Pomonte di Scansano (Luciana ha scritto:Racconti raccontati- C’è una volta la Maremma-La capitana, vita di mezzadri in Maremma- La Terra delle Donne- Detti e ridetti, libri editi da Stampa Alternativa)
Caro Stefano, voi gente normale un siete, con tutta la gente che scrive e scrive, andà a confondersi con me…però di che mi meraviglio, chi va a fà lezione alle due o tre di notte all’università occupata…ci vorrei esse stata anch’io lì con te e Alberto e con tutti: peccato che so ‘gnorante e vecchia! E mi rincresce di un esse andata a scuola che, se fossi stata lì a lezione da voi, avrei capito poco più di niente….Chissà quanto si saranno divertiti quei ragazzi dell’università, con voi che raccontate, anche se avete l’aria a coglionella…..perchè te e Alberto non chiedete un contributo e mettete su ‘na scuola privata, ma di quelle che un si paga eh! Voi e chi sapete voi impiantate ‘sto stabile che, è fatto come lo stipo del maiale di una volta; quattro legni ‘ncrociati, un tetto di bandoni, sette otto pali e via, senza cancello, s’entra e s’esce così. Insomma ‘sta scuola potrebbe avè le caratteristiche delle baraccopoli sparse nel mondo: lì, proprio accanto alle case megagalattiche dei ricchi! Lì, uguale alle case dei più poveri, gli invisibili, i nessuno! Una scuola di zingheri, di barboni, di spennacchiati come me, senza fiocchi né mollette, senza pettine! Come ci starei volentieri in una scuola mista così, dove si ascolta e s’impara la vita chè, la vedi, non la leggi e basta! La tocchi, è per questo che l’impari meglio! …Sai quanti adepti troveresti, sai quante iscrizioni, sai quante? Una scuola di galateo all’incontrario, una scuola libera, volante! Macchè mani conserte, sbracatevi, guardatevi, giocate per terra, e colorate, colorate il mondo ! – Te chi sei? Sei un ghei? E te sei ‘na lesbica? Qua,venite avanti! E te? Sei maritata da trent’anni sempre col solito? A casa! E te? Sei un politicante? Fori anche te se no ti piglio a calci ‘n culo! E così si diventerebbe razzisti all’incontrario. Alt !
Grazie per l’ascolto e a presto !
 
—————————————————————————————————————–
Riceviamo nuovo video della Pennato Productions attiva tra la Maremma e
Barcellona : White Zombies   http://youtu.be/KaU7BthmCmU
—————————————————————————————————————
Viterbo:dalla Banda del Racconto di Antonello Ricci il video girato al Caffeina
festival    http://youtu.be/VxwcSOCyi3k     www.labandadelracconto.it
——————————————————————————————————————-
Appena uscito il video sulla chiusura del bar antagonista Ortensia a Siena uno dei pochi luoghi vivi in una città di morti, dove chiudono librerie, bar e luoghi di aggregazione sociale: Brucia Ortensia! Pantaneto Burning !
http://youtu.be/pb3JorRjfAU

Foto di gruppo, Ortensia, estate 2008
—————————————————————————————————————————————————————-
Ricorre il centenario della morte di Pietro Gori, il poeta dell’anarchia che tanto seguito ebbe all’Elba e in Maremma, noto anche per I suoi canti il più famoso è “Addio Lugano bella” qui nella versione live di Pardo Fornaciari  e i Suonatori della Boscaglia a Livorno
http://youtu.be/qz5nZwjWr7I
http://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Gori
http://www.pietrogori.it/Petizioni/PetizioneLapideEmpoli.aspx

Piombino, Acciaierie Foto di gruppo degli aderenti al sindacato anarchico USI (1913)
Tradizioni Massetane scomparse: La caccia al prete e al frate
Territorio noto per la caccia al cinghiale, in epoca non remota il massetano lo è stato anche per la caccia al prete o al frate. Già nel 1765 il diario ritrovato da Galliani e Sozzi, Galantuomini e Birboni ci narra dei contrasti sempre più accesi tra la piccola borghesia nascente e I potenti ordini dei frati locali. Ma è nell’ottocento che il clima si surriscalda, complice la nascita di una importante loggia massonica e una forte e combattiva compagine repubblicana-garibaldina-mazziniana, egemone in città, che si guadagnò l’appellativo di “Brescia maremmana” per la partecipazione alle varie guerre risorgimentali d’indipendenza. Nel 1845 il rifiuto di alcuni giovani di levarsi il cappello di fronte al passare di una processione porta prima ad una rissa e poi all’aggressione di un prete sin dentro alla sagrestia del duomo. Nel 1847 a più riprese compaiono cartelli e volantini in cui si invita a cacciare o uccidere tutti I frati e I preti da Massa. Nel 1864 Massa risulta avere il più alto numero di soggetti pericolosi sotto osservazione da parte della polizia, ben 80, il doppio rispetto a Grosseto. Nel 1878 una rissa nata tra alcuni calzolai e dei frati si trasforma in sommossa e deve intervenire il delegato di pubblica sicurezza per impedire l’eliminazione fisica dei religiosi. D’altra parte quando morì il vituperato Papa traditore del Risorgimento, Pio IX ,la folla a Roma assalì il corteo funebre al grido “al fiume il Papa porco” e la salma non finì nel Tevere solo grazie ad una robusta e pronta carica di cavalleria ! il vescovo Morteo già nel 1872 dichiarava che Massa era piena di “malvagi figli” e si consumava la rottura totale tra le Associazioni di Misericordia e la Chiesa. E non è che il ‘900 vedesse un miglioramento dei rapporti. Nel 1904 viene eretto in Piazza Garibaldi, dando accuratamente le spalle al duomo, un grande monumento all’Eroe dei due mondi. Socialisti e Anarchici sono fortemente presenti in città e pur litigando su molti temi con I Repubblicani, si ritrovano uniti in un acceso anticlericalismo. Molte volte la processione del venerdi santo è costretta a fare solo il giro del sagrato per sfuggire alle contumelie e ortaggi di numerosi maleintenzionati in agguato nella piazza ! Da altre parti andava pure peggio: ad Abbadia sull’Amiata il comizio socialista che celebra la vittoria elettorale nel 1919 viene “disturbato”da una vicina processione; I sovversivi assaltano il corteo religioso a colpi di pistola ingaggiando un conflitto a fuoco con I carabinieri, il che provoca 7 morti, tra cui un religioso! ( Altro che la Madonnina rotta dal blekke blokke !) E’ solo con l’avvento del fascismo nel ’22 e I successivi patti lateranensi di pacificazione con la Chiesa del ’29 che I crocefissi fanno la comparsa nelle aule scolastiche, la religione cattolica diventa religione di Stato e materia d’insegnamento e I cappellani militari benedicono camicie nere, imperi romani e guerre . Con la morte dello stato laico a Massa nel ’34 viene spostato il monumento a Garibaldi dalla piazza al Parco della Rimenbranza, e pian piano nel dopoguerra l’anticlericalismo classico declina. Il cattocomunismo del PCI riconosce nella Chiesa un interlocutore fondamentale e, spesso e volentieri, farà da pompiere rispetto al nuovo che avanza, comprese le battaglie laiche su divorzio, aborto, nuovo diritto di famiglia. La libera Chiesa in libero Stato diventa un sogno: I risultati son sotto gli occhi di tutti. Ricordo allora con nostalgia al fu bar dello sport alla fine degli anni ’60 il canto di alcuni vecchi avventori di fronte a un bicchier di vino, sull’aria della Marsigliese: “ Con le budella dell’ultimo Papa, impiccheremo l’ultimo Re….. e bruceremo il Vatican, e bruceremo il Vatican, coi preti dentro! “
( S. E.)


—————————————————————————————————————————————–

Monterotondo Marittimo foto di gruppo con l’agitatore anarchico Errico Malatesta (1920)
Link utili www.stefanopacini.org        http://www.radiomaremmarossa.it
http://www.carmillaonline.com  www.ltmd.it    www.infoaut.org
Maremma Libertaria Esce quando può e se e come gli pare. Non costa niente, non consuma carta e non inquina, se non le vostre menti. Vive nei nostri pensieri,perchè le idee e le rivoluzioni non si fanno arrestare, si diffonde nell’aere se lo inoltrate a raggera. Cerca di cestinare le cartoline stucchevoli di una terra di butteri e spiagge da bandiere blu,che la Terra è nostra e la dobbiamo difendere! Cerca di rompere la cappa d’ipocrisia e dare voce a chi non l’ha, rinfrescando anche la memoria storica, che senza non si va da nessuna parte. Più o meno questo è il Numero 4, del 21ottobre 2011.Maremma Libertaria può essere accresciuta in corso d’opera ed inoltro da tutti noi, a piacimento, fermo restando l’antagonismo , l’antifascismo e la non censura dei suoi contenuti.
In Redazione, tra i cinghiali nei boschi dell’alta maremma, Erasmo da Mucini, Ulisse dalle Rocche, il Fantasma della miniera, le Stelle Rosse stanno a guardare, Complici vari , Ribelli di passaggio,maremmani emigrati a Barcelona.
No copyright, No dinero, ma nel caso idee, scritti, foto, solidarietà e un bicchiere di rosso.
Nostra patria il mondo intero, nostra legge la Libertà, ed un pensiero Ribelle in cuor ci sta (Pietro Gori)   http://youtu.be/_KVRd4iny8E
Potranno tagliare tutti i fiori, ma non riusciranno a fermare la Primavera   (Pablo Neruda)    http://youtu.be/wEy-PDPHhEI         (Victor Jara canta Neruda)
Sempre, comunque e dovunque : Libertà per tutti i compagni arrestati !– Fori i compagni dalle galere !-Libertad para todos los presos ! – liberdade para companheiros presos! -comrades preso askatasuna!- liberté pour les camarades emprisonnés!-freedom for imprisoned comrades !- Freiheit für inhaftierte Genossen!- ελευθερία για φυλακισμένους συντρόφους ! – الحرية لرفاق السجن