Maremma Libertaria n 11

Sommario: Saluto al nuovo Papa – Ascanio Celestino e Grillo – Amianto – Scrivere e resistere in maremma dopo Luciano Bianciardi –  Zatarra -Tano D’amico – Antonio Lorenzini -Fausto e Iaio – Il sangue politico – Colpo al cuore – È stato morto un ragazzo
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Siamo al secondo compleanno di questo progetto nato spensierato . Aprile porta i canti in ottava dei poeti estemporanei di Ribolla, la primavera, la Liberazione del 25 aprile ’45. E allora, ieri, oggi, sempre, morte ai fascismi, nazionalismi, populismi vecchi nuovi o postmoderni. W la Maremma Libertaria, W l’Anarchia !  🙂
Qui riportiamo il nostro appello antielettorale di Febbraio, temiamo ritorni utile presto, e lo dedichiamo a quei libertari che questo giro hanno votato e votato grullamente Grillo….

http://youtu.be/R_g9CK8hJrQ
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Maremma Libertaria saluta il nuovo Papa !
…perchè siamo come siamo, ma anche educati eh!   🙂

 “…Questo Dio che ti inventi, è soltanto una chimera la cui stupida esistenza ha luogo soltanto nella mente dei folli. È un fantasma inventato dalla cattiveria degli uomini, col solo scopo di imbrogliarli, o di armarli gli uni contro gli altri. Se questo Essere Supremo esistesse veramente, con tutti i difetti di cui ha riempito le sue opere, non meriterebbe da noi che disprezzo e bestemmie…”

 LA VIA LATTEA, Luis Bunuel, 1968
 
 
 
 
Un tizio si candida a fare il dittatore…..

Ascanio Celestini usa le parole come un muratore fa con le pietre. Messe una sull’altra, oppure lasciate a terra, tenute strette da un bisogno, da un sogno, da una bestemmia, realizzano un pensiero, ci conducono al fondo dei nostri dubbi. Vive in una borgata romana, “dieci centimetri sotto l’appartamento dove sono nato. La mia bottega è quella di mio padre, e mia moglie è figlia del nostro ex portiere. Ci stiamo costruendo una casa nuova nella parallela della via dove abito. Tutta la mia vita in cento passi o poco più”. Dalla borgata la crisi si vede più nera: “Cambiano i volti, sono facce scure, mediamente sole, e pronunciano parole violente. Frequento il bar e lì guardo e ascolto”.
 
La violenza ci difende dalla paura, non ti pare? “Dalla solitudine direi. A Morena, il nome della mia borgata appena dietro Ciampino, non c’è abitante che non abbia sgobbato una vita. Uno, due, tre lavori insieme. Hanno la lavatrice (la lavastoviglie non tutti), ma due o tre televisori e il computer e la verandina e il sottotetto. Hanno il salotto e la cucina Scavolini. Ma sono soli. Si sono costruiti una solitudine con grande fatica. E vedono quel minimo senso di benessere sfuggirgli di mano, andarsene via”.

Soli e disperati. “Ti ricordi trent’anni fa cos’era un partito? La Dc o il Pci? Se io e te eravamo iscritti al partito, o solo simpatizzanti o anche semplici elettori, avevamo punti di vista comuni. E il nostro punto di vista era in qualche modo simile a quello del segretario del partito. Era una comunanza di sguardo: guardavamo lo stesso orizzonte. Ed eravamo felici di esserlo”. Era la comunione. “Il mio destino è il tuo, la mia pena la tua, la mia felicità simile a quella che provi tu. La mia vita è un po’ la tua”. Oggi è l’opposto. “Oggi godo tanto di più quanto più inveisco contro di te, mi sento distante da te e ti maledico. Altro che leader, sei lontano, devi sparire, mi porti solo guai. Sei un incompetente, un truffatore. E rubi, è il minimo che ti dico”.

 

La crisi sconforta, e i conti li stanno pagando gli innocenti. Nessuno porta responsabilità quando invece c’è. Non è che si diventi cattivi perché l’umore cambia. “Descrivo uno stato d’animo. Vado al bar e sento solo dire: in galera! In carcere gli extracomunitari che pisciano davanti al mio portone; in carcere naturalmente Berlusconi e in carcere pure tu. Siamo contro, e a prescindere e costruiamo questa condizione di avversione perché al fondo abbiamo l’idea che ormai nessuno più ci possa rappresentare”. Ci possa aiutare o anche solo rappresentare? “C’è bisogno di una guida? Non c’è bisogno. Quelli sono incompetenti, no? Sai perché ha vinto Grillo? Perché il suo movimento, o non movimento, può rinegoziare ogni giorno il suo punto di vista. Non è ancorato a nessuna idea”.

Non sembra ti piaccia. “Non mi piace, non mi ci ritrovo, ma capisco. Lui parla a quella piccola borghesia che sta perdendo la lavatrice, il sottotetto, l’automobile, i contributi previdenziali. Parla ai miei coinquilini, alla mia borgata. È gente impaurita (e io dico giustamente). Mica senti Grillo discettare degli immigrati, o dei poveri che non hanno più nulla? Sono invisibili e non li vede neanche lui. Malati terminali della società”. Quando una vita si sbriciola all’improvviso, non c’è futuro e nemmeno una speranza, persino la precarietà diventa un bene di lusso che pochi possono detenere. Come puoi chiedere uno sguardo comune? “La legge del formicaio sovrasta ogni formica. È il sistema che è imploso, ma non siamo in grado di riuscire a individuarne un altro. Sono stato ad Auschwitz e Shlomo Venezia mi ha raccontato la sua drammatica avventura. Internato nel lager era chiamato a condurre i prigionieri alle docce chimiche voce: “Shlomo! Shlomo! È suo cugino Leone che lo riconosce e lo chiama. Si avvicina, gli chiede: perché devo morire? Puoi fare qualcosa tu? Shlomo non sa fare altro che andare dal militare tedesco e gli chiede il favore di salvarlo. Il tedesco risponde: e che posso farci io? L’orrore di questa scena si reggeva su un sistema collaudato di decisione e di comando. Al tedesco non competeva valutare”. Non mi compete, non è mio compito, chiami quell’ufficio.

È il medesimo paradigma della nostra burocrazia: nessuno è chiamato a rendere conto. “La vita è responsabilità. E invece stiamo facendo appassire la nostra vita, il nostro futuro nell’eterna assoluzione di noi stessi. La colpa è sempre degli altri: di chi è al governo o al municipio, della dottoressa dell’Asl, del vigile urbano. La colpa è del geometra. Siamo poveri per colpa degli altri, stiamo male per colpa degli altri. Colpa loro: la scelta più agevole per un ignavo. L’indice puntato. Sono gesti che si ripetono davanti ai miei occhi e parole che risuonano come fosse un sottofondo musicale. E invece è sempre mia la responsabilità”. Tra un po’ di settimane inauguri a teatro il tuo Discorso alla nazione, anche tu con una soluzione in tasca: “C’è un paese che sta lentamente scivolando nella guerra civile. Non tutti se ne accorgono. Un tizio si candida a fare il dittatore, dopotutto è meglio un dittatore che la guerra civile. E dopotutto la gente pensa di sì”.
(22 marzo 2013)
Ancora su Amianto-una storia operaia  di Alberto Prunetti

Alberto scrive di noi e a noi. Dei nostri padri operai, minatori, turnisti e cottimisti infiniti, trasfertisti in giro per l’italia, a unirla in gigantesche saldature. Scintillio e fumi mefitici di un “progresso” apparentemente inarrestabile ed emancipatorio: mentre loro, uomini di marmo e pirite, Stakanovisti per amore e per forza, si sacrificavano ,noi potevamo studiare, andare all’università, concretizzare il sogno di un “figlio dottore”. Nessuno allora si vergognava della sua condizione, anzi. Erano i figli dei dottori ,degli impiegati a doversi travestire da proletari, ad accettare giochi ruvidi, rivendicazioni spicce di una egemonia culturale masticata a bestemmie e cazzotti se necessario. …”Ora si comanda un po’ noi ” aveva detto mio suocero levando di capoil berretto al direttore di fabbrica, calcandoselo in testa all’incontrario. Un giorno di sciopero generale saldammo il cancello all’Istituto tecnico, mirabile esempio di messa in pratica degli insegnamenti familiari e scolastici. E’ un passato così presente nelle nostre vite, eppure già remoto . Renato percorre i decenni delle riscosse operaie e il declino degli anni della restaurazione e del riflusso, della prime crisi economiche. E’ persino costretto ad un certo punto ad aprire una partita iva per lavorare, triste preludio della nostra disumana post modernità, di una nocività assassina,del precariato diffuso, di un mondo senza più garanzie e diritti, di teste piegate al ricatto padronale e trasversale, della frammentazione sociale ove nessuno quasi sa chi è più amico o nemico. Renato però andrà a testa alta fino all’ultimo, neppure gli anni che gli ruberanno alla sua vita, neppure l’amianto riusciranno a piegarlo. E Alberto, per suo padre, per tutti i Renato di queste terre refrattarie e non del tutto domate, parla, racconta, imprime in tutti noi in maniera indelebile, una storia operaia, sangue nostro, vento, fumi, sudore, lacrime, rabbia, risa, lotta, sconfitta, orgoglio. E poi ancora, dignità.
( Ulisse)

il dibattito su wuming :
http://www.youtube.com/watch?v=-Tjm88bE0ZY
Tutte le recensioni
www.agenziax.it
Scrivere e R/Esistere in Maremma dopo Luciano Bianciardi
 “Non basta sganasciare la dirigenza politico-economico-social-divertentistica italiana. La rivoluzione deve cominciare in interiore homine. Occorre che la gente impari a non muoversi, a non collaborare, a non produrre, a non farsi nascere bisogni nuovi, e anzi a rinunziare a quelli che ha“.
(La vita agra, Luciano Bianciardi)
Il 23 febbraio la Corte dei Miracoli di Siena ha ospitato una panoramica di testi, scritture ed esistenze: stili e riflessioni, evoluzioni del pensiero di Bianciardi. Evoluzioni che sconfinano dalla pagina scritta per approdare all’indagine e alla rappresentazione teatrale di quella condizione esistenziale presente nel suo lavoro. Ha partecipato infatti all’iniziativa, Angelo Romagnoli attore e curatore, insieme a Raffaella Ilari, del “Progetto Bianciardi”, progetto che nel marzo del 2012 ha visto la realizzazione del convegno “Nascere intellettuali, morire pompieri – la scrittura di Luciano Bianciardi tra scena e letteratura”, nonché la messa in scena del testo “Non leggete i libri, fateveli raccontare”, una produzione Compagnia Pennacchia Romagnoli/laLut. Ecco un brano dell’intervento di Angelo Romagnoli:
“Bianciardi è un uomo che “alza la testa”. Pur provenendo dalle ombre della storia, da generazioni che hanno condotto la vita semplice di campagna, arriva ad essere il primo laureato della famiglia e il primo che parla un’altra lingua. Bianciardi è stato ufficiale di collegamento per l’esercito italiano dopo l’armistizio e soprattutto è stato uno scrittore capace di attraversare due universi linguistici e due immaginari: quello nostrano e quello anglofono. Ed è un uomo che vive facendo delle traduzioni, un uomo che diventerà un “lavoratore a cottimo della traduzione”. Le sue venti cartelle al giorno sono la misura della sopravvivenza. ….. La vita agra è la storia di un bilancio. E di un bilancio si tratta se si pensa che si parte dall’idea di una rivoluzione da fare e si finisce con il contare le venti cartelle quotidiane da tradurre. Significa che il rivoluzionario, l’intellettuale possente e volenteroso di compiere giustizia sociale ha fallito. Ed è per questo motivo che La vita agra fa sanguinare molti”.

Insieme a Romagnoli c’erano Gianni Farina e Consuelo Battiston della compagnia teatrale “Menoventi” di Faenza, con cui l’attore sta preparando un nuovo lavoro ispirato al testo de La vita agra, seconda parte del Progetto Bianciardi. Una conversazione per esplorare, attraverso linguaggi e declinazioni diverse, persone ed esperienze che con il loro lavoro indagano e scrutano ciò che accade oltre la superficie, sotto la pelle.
Inoltre una batteria di scrittori con i loro libri: Alberto Prunetti e il suo Amianto, una storia operaia,  (Agenzia X Edizioni), Antonello Ricci, Fuori da dove (Edizioni Effigi), Luciana Bellini, Il mestiere finito (Laurum Editrice) e Alessandro Angeli, Mare di vetro (Quarup Editrice). Un gruppo affiatato sin dai tempi del Fondo Daniele Boccardi, che in questi dieci anni, attraverso convegni, presentazioni e festival, è stato capace di smuovere la scena letteraria maremmana e nazionale.
E allora ecco la Maremma come terra di scrittori resistenti, refrattari alle catalogazioni di genere ma con salde radici nella storia di una terra amara, agra e ribelle. La Maremma nelle storie di Luciana Bellini, testimone del tramonto della civiltà contadina e del faticoso riscatto delle donne della riforma agraria. La Maremma di Antonello Ricci e la sua “Banda del Racconto”, tra oralità, ottave e poesia civile. La Maremma di Alessandro Angeli tra vecchie e nuove frontiere, giovani dispersi, vite bruciate. La Maremma di Alberto Prunetti, sovversivi, migranti, operai che neppure l’Amianto è riuscito a piegare. Scrivere-vivere-resistere oggi in una Maremma sotto attacco di speculatori, inquinatori, mafiosi e ruffiani, senza dimenticare la lezione di Luciano Bianciardi:
Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera.
Io mi oppongo
“.
L’incontro organizzato da “Maremma Libertaria”, la Libreria “La Zona interno 4” e il “Centro Culture Contemporanee Corte dei Miracoli”, ha visto un folto pubblico presente per l’intero pomeriggio nei locali dell’ex Ospedale Psichiatrico. Ha coordinato da par suo Antonello Ricci, scrittore, poeta, agitatore civile viterbese. La sua lezione partendo dalla Provincia di Luciano Bianciardi e Daniele Boccardi (di cui ricorrono i venti anni dalla morte) e attraversando le isole di resistenza all’omologazione, si è conclusa col battito onomatopeico dello zoccolo di Simone Martini/Guidoriccio che due volte risuona in Bianciardi, nei Minatori della Maremma e ne La vita agra, tra la Maremma e Siena appunto. Un’esposizione lucida e sentita, una lezione che non si dimentica. Sul tema dei confini, della scrittura, della memoria, si sono misurati in modi molto diversi e originali Alberto Prunetti, che ha parlato del Gabellino attribuendogli una doppia valenza, quella di un confine negli scritti di Bianciardi, ma anche un confine fisico, personale, che egli come scrittore e traduttore a cottimo, tanti anni dopo continua a varcare in questo suo eterno pendolarismo tra la Maremma e Siena. Alessandro Angeli ha voluto confrontare Tropico del cancro di Henry Miller con La vita agra di Luciano Bianciardi, tornando alla sudditanza nei confronti della cultura anglofona, cui faceva riferimento Angelo Romagnoli in apertura del convegno e Luciana Bellini, che parlando del suo ultimo libro con la naturalezza e la simpatia che la contraddistinguono, ha citato anche i passaggi editoriali più complessi e a volte dolorosi, che hanno portato la sua opera alla pubblicazione. La serata è poi finita a bicchieri di morellino, torte fatte in casa e ottave improvvisate…..

Ci piace chiudere con la lettera che ci è giunta qualche giorno dopo. Conteneva i ringraziamenti di Luciana Bellini :
 “Vi ringrazio col cuore per l’invito al manicomio, è stata una serata interessante, intelligentemente studiata per l’occasione…tutti preparati, bravi, non c’è niente da fa’, siete una banda di matti ! Le cose serie si possono dire anche “leggermente”, senza la pompa magna dei cattedrati, anche se, cattedrati siete! Insomma, se fossi lì, nelle vicinanze di Siena mi garberebbe frequentà la vostra Corte Dei Miracoli e, imparà, ascoltà, vedè il mondo senza il paraocchi della retorica di sempre…..è una gran bellezza, una immensa gioia questo cammino di parole scritte e parole parlate e, per me, più che mai, so’ un orizzonte sconfinato, un occhio lungo sul mondo. Vi auguro buon tutto, in tutti i campi, sempre ! Ciao e a presto !
Per approfondimenti segnaliamo alcuni link :
trailer avvenimento
http://www.youtube.com/watch?v=xxG759nlAzo

www.labandadelracconto.it
www.stefanopacini.org (Maremma Libertaria con recensioni Luciana Bellini e Alessandro Angeli)
www.agenziax.it (Amianto, una storia operaia di Alberto Prunetti)
www.progettobianciardi.it
www.menoventi.com
www.lacortedeimiracoli.org
lazonalibreria.blogspot.it
(Stefano Pacini e Alessandro Angeli)

Bianciardi !  Trailer

http://youtu.be/LDDNPevVRyY

 
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Jannacci nel film “La vita agra” …

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Simone Ghelli: Voi, onesti farabutti
di Alberto Prunetti
ghelli.jpgVoi onesti farabutti di Simone Ghelli è un libro che non posso recensire in maniera neutrale. Lo dico subito per evitare il malcostume letterario delle recensione degli amici. Non vedo Ghelli da molti anni ma siamo coetanei, io sono appena più grande, più vecchio ormai di lui, siamo cresciuti in una zona di confine tra la maremma grossetana e il litorale livornese, lungo la via Aurelia, e siamo andati all’università nello stesso posto. Se io e il Ghelli fossimo due vini, oltre a unirci annata e terroir, saremmo due vini da contadini, di quelli che sì, un po’ di solforosa e di rame ci si sente, però insomma, anche genuini e adatti ai palati ruvidi. C’è stato un periodo in cui io e il Ghelli ci si incrociava spesso. Lui aveva vent’anni, io credo ventidue. Ci si vedeva nei locali della Federazione anarchica maremmano-elbana, nella pinetina di Riotorto alle fiere anticlericali, a Siena davanti al manicomio, a bersi un americano da Paolone e poi nei boschi della Valdelsa. Poi ci siamo persi di vista, sono passati quindici anni. Fino a quando nella casella postale ho trovato questo libro con la copertina rossa. Mi arrivavano notizie da lui, perché condividiamo amici dalla bottiglia facile e la precarietà lavorativa certa. Prima o poi ci si vedrà anche, ho pensato, meglio lungo l’Aurelia, ho pensato subito dopo, e il perché glielo spiego alla fine, al Ghelli.
Tutto questo per dire che il libro del Ghelli racconta un pezzo di storia in cui io ci sono stato dentro e ora non posso mettermi a fare il recensore oggettivo e impersonale. Soprattutto quando parla di anarchici e matti, un capitolo stupendo e commovente del suo libro, perché io li conoscevo tutti quegli anarchici e quei matti. Coi primi ci si beccava tra Montebamboli e Montieri, nella colline Metallifere, e allora uscivano discorsi di fuoco e vinelli bianchi, di quel bianco un po’ torbido che non conosce filtrazioni. Vini che portava Fabio il boscaiolo, che con una stretta di mano ti faceva pentire di tutto il tempo che avevi perso in una biblioteca, quando più pennato – o più roncola, all’uso italico – ben ci avrebbe giovato alla salute dei polsi. Poi c’era Nedo, che oltre a tenere in piedi i locali di un circolo che aveva ospitato Pietro Gori, era anche uno degli ultimi pescatori piombinesi e aveva gli occhi del colore del mare e quando allestiva le sagre libertarie a Riotorto portava quel che gli rimaneva nelle reti; e poi c’erano Duilio e Patrizia che se non c’era questo libro del Ghelli, che è meraviglioso e toccante, di loro mi sarei quasi dimenticato, e invece mi ricordo eccome di quella notte che io facevo il banchetto dei libri anticlericali e mi vennero a salutare perché erano stanchi di vivere in Maremma, loro che c’erano venuti da poco e da lontano, e l’indomani partivano in una barca a vela per l’Oriente e avevano intenzione di vivere in barca per qualche anno, dove i venti li avrebbero sospinti, si vedrà, mi dissero abbracciandomi; e poi c’era il Chessa, che era proprio come dice il Ghelli, leticava con tutti, però gli si voleva bene perché era il grande vecchio e era la memoria di tante lotte e lo aiutavamo a sistemare l’archivio della famiglia Berneri e lui ci regalava i libri e ci diceva “Leggete, bolscevichi!”. E’ grazie al vecchio Chessa che ho scoperto Osvaldo Bayer, che poi sono andato a trovare fino a Buenos Aires. Poi c’erano i matti, quelli che frequentavamo a Siena, perché il manicomio era accanto all’università, o forse dentro. C’era Guerino, come lo chiama il Ghelli, ma io lo chiamavo il Guerriero, che col bastone colpiva gli studenti in testa (ma con quella protesi lignea toccava anche il culo alle studentesse, lo conferma un mio amico che è suo nipote e anche tante mie amiche e compagne di studi) e lo Sceriffo, che andava a giro col cappello texano, il mezzo garibaldi in bocca e la stella sul petto e a cui ogni tanto pagavo da bere il bicchiere d’americano che Paolo al bar del ponte di romana teneva già preparato in bottiglioni enormi da tre litri. I matti avevano occupato Lettere, altro che noi studenti. Erano implacabili. E infatti te li trascinavi fino alle lezioni del Luperini e mentre lui stigmatizzava il vitalismo letterario piccolo-borghese, loro avevano invaso le classi universitarie e leggevano beati l’elenco telefonico, cominciando dalla lettera A. Era così, Ghelli, te lo ricorderai e il tuo libro lo conferma. E ti ricorderai, anche se non ne parli, di Annina, che ancora sbraita per quelle strade di laterizi rossi. E in queste cose ormai vecchie di quasi vent’anni mi ci hai fatto finire dentro, risucchiato nella memoria dalla magia delle tue righe. Poi c’erano cose che non conoscevo. Tuo nonno, un eroe. Me lo immagino come quei livornesi che venivano a vendere le verdure il venerdì al mercato a Follonica e che con l’accento slabbrato labronico dicevano delle porcate terribili piene di doppi sensi alle spose che passavano, che tutti, òmini e donne, si rideva come pazzi. Poi finivano di fa i complimenti alle spose e cominciavano a insultà il papa e i fascisti. Che gente, che risate. S’andava al mercato solo per sentirli, mica per le verdure. Anche perché le verdure noi le coltivavamo in casa, o meglio nell’orto e io al mercato andavo solo a comprare albi di Tex Willer e numeri di Urania usati e a ride’ delle grezzate dei livornesi. Almirante, topa-punta-e-seghe-tante, urlavano dai banchi del pesce. E giù tutti a ridere. Qualcuno dava il tema: Fanfani e Andreotti, e i venditori buttavano il carico di improperi irriferibili, con rime in -ano e -azzo. E noi dè, grandi e piccini, giù a ride. Erano i comizi politici che mi ricordo, Ghelli, e puzzavano d’acciughe sotto sale e di porpo briaco e me li hai fatti ricorda tè, quell’anni lì. Per chi non l’ha vissuti, c’è sempre il libro del Ghelli, che è stupendo e racconta molte più cose e meglio dette di quelle che scrivo io in questa recensione. Ora basta, ti saluto Ghelli e dopo questa sviolinata ti aspetto dalle parti del bar Il cacciatore, giù verso Venturina, sull’Aurelia vecchia, dove potrai sdebitarti di questa recensione con un terzo di Martini, uno di Campari e il resto soda, alla modica cifra di euri due. Niente noccioline, quelle so per i borghesi. Bona, compagno Ghelli.


Amiata Calling!
 L’Amiata chiama! L’11 maggio una giornata di lotta in difesa della montagna
Mentre l’Enel continua a lavorare al cosiddetto ‘Piano di riassetto di Piancastagnaio’ e dopo gli annunci trionfalistici sull’apertura del cantiere per le due centrali di Bagnore4, il coordinamento SOS Geotermia si è riunito il 21 marzo us in assemblea pubblica, peraltro partecipatissima, che ha approvato la proposta di una giornata di mobilitazione che abbia carattere nazionale da farsi il giorno 11 maggio prossimo.
Su impulso dei cittadini e dei comitati, SOS Geotermia ha redatto un appello nazionale, che riportiamo di seguito, a cui hanno già dato significativa adesione associazioni, gruppi, sindacati, sia nazionali, che regionali e territoriali.
Primo firmatario è Don Gallo che avevamo già incontrato e che ci aveva esortato ad essere ‘partigiani dell’Amiata e difendere la Terra’, seguono adesioni di rilievo nazionale come il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, promotore dei referendum vinti sulla ripubblicizzazione dell’acqua che continua nella battaglia, ma anche associazioni e sindacati nazionali, come il Forum Ambientalista, ATTAC, l’USB ed i Cobas; l’elenco è lungo e ‘qualificato’, contando che ancora non è avvenuto il lancio dell’iniziativa.
Da oggi lanciamo pubblicamente l’appello a tutte le associazioni, comitati, gruppi, partiti, ecc. invitandoli ad aderire e partecipare alla manifestazione nazionale dell’11 maggio sull’Amiata.
Invitiamo tutti i cittadini dell’Amiata a partecipare al prossimo incontro che si terrà il 5 aprile e a collaborare con il coordinamento per la riuscita della giornata dell’11 maggio.
SOS Geotermia – Coordinamento dei Movimenti per l’Amiata –
 
  
è uscita una nuova rivista maremmana, le diamo il benvenuto, e qui il suo link :
http://www.kansassiti.it/
 questo invece è il link della rivista dei gruppi anarchici Kronstadt di Pisa e Volterra
http://www.kronstadt-toscana.org/2013/04/05/kronstadt-aprile-2013/
 
Antonello Ricci e Pietro Clemente alla Libreria La Zona di Siena presentano ” Fuori da dove”

 
 
 
http://youtu.be/phHV-YsH9DQ
da oggi è attivo anche il nuovo portale controinformazionevideo.altervista.org creato al corso della Corte dei Miracoli all’ex O.P. di Siena
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Segnalamo anche questo  libro, molto ben fatto , sul tema della Maremma, di Tiziano Arrigoni che abbiamo già recensito  per la storia di Elvezio Cerboni partigiano.
“Non è un caso che le suggestioni legate alla bonifica leopoldina, dalla prima metà dell’Ottocento, facessero riferimento proprio alla realtà americana, alla conquista, sia pure molto diversa, del West, al wilderness e, appunto, alla frontiera. Risulta valida anche per questo periodo l’acuta osservazione di Letizia Bindi, pur se riferita ad altro contesto (quello dei mass-media del secondo Novecento) la Maremma viene narrata come ‘terra di frontiera’ – una frontiera tutta interna, eccezionale, proprio perché apparentemente così centrale, sul piano meramente geografico, al territorio nazionale –, ma pur sempre frontiera. E i suoi abitanti (…) sono, proprio sulla scorta di questa associazione, facilmente paragonati a dei ‘pionieri’ , impegnati nell’opera di sottrazione del territorio aspro e impervio al dominio della natura.
Non a caso L’Hermite en Italie di M.de Jouy, descrizione dell’Italia del 1824-25, parlando della Maremma faceva riferimento ad un‘altra frontiera mobile, definendola la Siberia italiana.
Gli stessi abitanti, stanziali o immigrati, anche stagionali, che vivevano in queste aree o superavano la linea mobile della frontiera maremmana erano anch’essi diversi o lo divenivano agli occhi di chi abitava nella Toscana ‘civilizzata’: gli immigrati stagionali pistoiesi in Maremma venivano definiti indistintamente maremmani, a prescindere dalla loro origine; la breve permanenza faceva loro assumere le caratteristiche morali e fisiche di chi abitava oltre la frontiera .
I boscaioli che, arrivata la primavera, negli anni Venti ritornavano in treno verso la montagna pistoiese, dopo mesi di duro lavoro, «venivano scansati dai viaggiatori» – racconta un testimone diretto – «perché sudici e facevano odore di selvatico (anche quelli più ordinati e puliti).» «Qui no, ci sono i maremmani» – diceva una signorina alle sue amiche – «andiamo in un’altra carrozza».
Il carattere rude, selvaggio dei maremmani, strettamente legato allo stesso carattere della natura che li circondava, era al tempo stesso un elemento dell’immaginario romantico, che finiva spesso per mitizzare una realtà ben più dura, che cercava di idealizzare costumi primitivi o presunti esotici a poche centinaia di miglia dalla civiltà industriale: è il caso, solo per rimanere nell’Europa meridionale, della Corsica e dell’Andalusia.”
Ben altra cosa è il libro ormai raro “Maremma storie di cavalli e di butteri ” Vieri ed. di Tito Cipriani. Qui le storie sono ricordi che non nascondono il rimpianto di una terra selvaggia, dei suoi riti, personaggi rudi e unici e oramai scomparsi.  Il ritmo e la scrittura sono semplice, diretta, si narra di cacce e sbudellamento di cani e cinghiali, di “spettacolo orrido ed esaltante” de “l’ultimo romantico fiaccheraio della maremma”etc. Completano il libro una prefazione di Alfio Cavoli, un glossario, un albo professionale dei butteri della maremma toscana ed anche interessanti foto in b/n .
Altro genere, ma assai interessante il libro presentato a febbraio a Livorno presso la sede della federazione anarchica in via degli asili e qui reperibile :
Marco ROSSI
LIVORNO RIBELLE E SOVVERSIVA
Arditi del popolo contro il fascismo 1921-1922

prefazione di G. Sacchetti
L’esperienza degli Arditi del popolo rientra pienamente tra le “anomalie” storiche e politiche del secolo scorso, tanto che per lungo tempo è stata oggetto di rimozione, da destra come da sinistra, nelle ricostruzioni degli eventi successivi alla Prima guerra mondiale.
A Livorno, l’arditismo popolare si ricollegò a quella tensione rivoluzionaria che aveva attraversato la composita collettività labronica durante le insorgenze risorgimentali e i conflitti sociali del Biennio rosso.
Fu così che – tra l’estate del 1921 e quella del ’22 – il sovversivismo dei quartieri proletari si oppose, con ogni mezzo necessario, allo squadrismo fascista. Questa fu a tutti gli effetti la prima strenua resistenza, anche se poi la memoria ufficiale ha preferito commemorare quella partigiana nella rituale festa nazionale del Venticinque aprile, evitando di ricordare come quella guerra civile era iniziata e cancellando anche coloro che praticarono l’antifascismo prima che la violenza reazionaria diventasse regime.

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Intervista con Zatarra !

– Come sei partito?
– La musica è sempre stata nel mio sangue, fin da piccolo sono sempre stato curioso dei vari generi musicali, ho suonato la Diamonica a bocca (chi se la ricorda??), il flauto, uno strumento Casio elettronico che riproduceva sia il sax che il clarinetto, la chitarra, etc. Mi sono avvicinato al rap, o meglio, alla cultura hip-hop a fine anni ’90, perché ho sempre creduto fosse uno stile di vita che poi sarebbe diventato un punto comune mondiale, un modo per parlare la stessa lingua e capirsi in tutti i Paesi del globo, e così è stato. All’interno del movimento ho scelto il rap perché era la disciplina che permetteva più delle altre di esprimere senza censure i propri pensieri, i propri pareri, le proprie esperienze, soprattutto in un mondo musicale come quello italiano che è da sempre monopolizzato dalla musica leggera in nome del (banale) amore!
Dallo scrivere in rima al cominciare a rappare sono passati anni (il 2003 fu l’anno della prima volta col microfono in mano), perché non ho mai condiviso chi si butta su un palco non essendo all’altezza, il palco va rispettato, il pubblico va rispettato. Nel frattempo mi sono divertito approfondendo le mie conoscenze con viaggi su e giù per l’Italia che m hanno fruttato amicizie tuttora presenti, in particolare Bologna e i portici di Via del Pratello e Via Indipendenza, Roma e  Torino

  • – Cosa stai facendo?
    – Dopo anni in cui ho pensato alla affermazione personale e ai messaggi che rappresenta il mio essere Zatarra, con cd usciti anche su scala nazionale (“Il gioco è bello quando dura” per La Suite Records di Torino del 2010, “Piena Consapevolezza” per Blasterfirm Records del 2012) negli ultimi tempi mi sto dedicando a tempo pieno ai progetti per adolescenti e giovani. Ho sempre curato “atéliers” di scrittura creativa, a Marseille tramite l’Istituto di Cultura Italiano ma anche a Empoli, Roma, Porto Sant’Elpidio, sempre in collaborazione con associazioni culturali o Comuni/enti locali, tranne che a Siena, dove ho sempre preso porte in faccia in Piazza del Campo. Proprio nella città dove al momento sono “bloccato” ho fatto di necessità virtù, e dopo aver collaborato due anni fa col progetto “Prime Persone” per adolescenti immigrati, ho fondato il Laboratorio Rap “Lo StRAPpo”, un collettivo indipendente e autogestito, che si ritrova una volta a settimana per migliorare tecnicamente le doti artistiche dei ragazzi e ancor di più per fare “gruppo” e parlare dei loro problemi con un fratello maggiore. Esiste da un anno e mezzo ed ha all’attivo più di 35 futuri rappers, un mixtape ufficiale (“53100 Non è un Paese per Rappers”), decine di serate live e un seguito massiccio tra i giovanissimi (www.facebook.com/lablostrappo www.youtube.com/lostrapposi).
    Contemporaneamente continuo la mia attività di rapper e sarò presente in due compilations francesi “La Z’Connexion” e “LCC Mixtape”, oltre ad una tutta toscana “Mc Doc vol. 2”.
  • Per il video uscirà il 5 aprile il terzo estratto da “Piena Consapevolezza”, “Surreale”, girato interamente a Marseille.

  • – Saluti
    – Vorrei salutare la Maremma e tutti i maremmani, popolo che ho sempre amato e col quale ho condiviso molte esperienze, sia in ambito rap con i vari Shafy Click, Jimmy Six, Skanda, etc., sia personalmente visto che ho una marea di amici, dal lato costiero a Massa Marittima passando per Grosseto città! Inoltre orgogliosamente vi confesso che ho uno Zio partigiano, Amelio Machetti, che magari qualcuno di voi socio Anpi conosce.
    Da sempre ammiro la semplicità e la franchezza d’animo dei maremmani, e il coraggio e la libertà dell’essere dei briganti, dei cacciatori e dei partigiani che abitano questa magnifica terra.
    Concludo citando l’ottimo Prunetti che infervora magistralmente lo spirito maremmano libertario: “Canterò l’armi e gli eroi, il sangue e il respiro grosso, la rabbia e l’ira funesta, le corse tra i lecceti e gli scopeti i castagneti e i boschetti idrofili, col cuore in gola e una mano sulle palle, coi piedi gonfi dal freddo e le narici piene di tabacco…”

 
 
Schede sovversivi:un ricordo di Giangiacomo Feltrinelli
15 marzo 1972
Località Cascina Nuova, Segrate, Milano
Ai piedi del traliccio dell’altra tensione n.71, all’alba, viene rinvenuto il corpo di un uomo dilaniato da una carica esplosiva. Dalla carta d’identità che porta con sé, risulta chiamarsi Vincenzo Maggioni. Ventiquattro ore dopo il rinvenimento, gli inquirenti sono però in grado di stabilire che si tratta di Giangiacomo Feltrinelli, militante dei Gruppi d’Azione Partigiana.

NOME DI BATTAGLIA OSVALDO, FORMA LA PRIMA ORGANIZZAZIONE ARMATA CLANDESTINA, CHE COMPARE SULLA SCENA ITALIANA TRA L’APRILE E IL MAGGIO 1970. TRA LA FINE DEL ’70 E L’INIZIO  DEL ’71, I GRUPPI D’AZIONE PARTIGIANA SI PROCURANO UN CERTO NUMERO DI RADIO MODIFICATE PER INTERFERIRE SUI CANALI DELLE RETI NAZIONALI, PER POTER COSI’ INCORAGGIARE ALTRI GRUPPI ALL’AZIONE CLANDESTINA.
26 MARZO 1972: IL SALUTO DALLE PAGINE DI POTERE OPERAIO

Un rivoluzionario è caduto
Lo dipingono ora come un isolato, un avventuriero, come un deficiente o come un crudele terrorista. Noi sappiamo che dopo aver distrutto la vita del compagno Feltrinelli ne vogliono infangare e seppellire la memoria – come si fa con i parti mostruosi. Si, perchè feltrinelli ha tradito i padroni, ha tradito i riformisti. Per questo tradimento è per noi un compagno. Per questo tradimento i nostri militanti, i compagni delle organizzazioni rivoluzionarie, gli operai di avanguardia chinano le bandiere rosse segno di lutto per la sua morte. Un rivoluzionario è caduto.Giangiacomo Feltrinelli è morto. Da vivo era un compagno dei GAP (Gruppi d’Azione Partigiana) – una organizzazione politico-militare che da tempo si è posta il compito di aprire in Italia la lotta armata come unica via per liberare il nostro paese dallo sfruttamento e dall’ingiustizia. A questa determinazione Feltrinelli era arrivato dopo una bruciante e molteplice attività – dalla partecipazione alla guerra di liberazione, alla milizia nel PCI, all’impegno editoriale, alla collaborazione con i movimenti rivoluzionari dell’ America Latina. L’indimenticabile ’68, lo aveva spinto ad un ripensamento di tutta la sua milizia politica; la breve ma intensa confidenza con Castro e Guevara gli forniva gli strumenti teorici attraverso cui analizzare il fallimento storico del riformismo e, ad un tempo, la prospettiva da seguire per una ripresa del movimento rivoluzionario in Europa. La forte passione civile, la rivolta ad ogni forma di sopraffazione e di ingiustizia ( si pensi all’ attenzione con cui ha sempre seguito le rivendicazioni autonomiste delle minoranze linguistiche italiane ) lo spingevano a saltare i tempi, a bruciare le mediazioni. E’ l’inquietudine di cui parla oggi con disprezzo misto a compatimento il <<Corriere della sera>>. In realtà è l’inquietudine che porta con sè ogni uomo che non si adatti a vivere come un bue, che nutre un odio profondo per tutti i cani ed i porci dell’ umanità. Certo nell’azione di questo compagno ci sono stati errori, ingenuità, improvvisazioni. Grave soprattutto ci è sembrata e ci sembra, nel programma politico dei GAP, la sottovalutazione delle lotte operaie, della loro capacità di andare oltre il terreno rivendicativo per porre la questione dei rapporti di forza tra le classi cioè del potere politico. Ma i suoi errori, la sua impazienza, appartengono al movimento rivoluzionario e operaio; <<assalto al cielo>> che da qualche anno migliaia di militanti hanno cominciato a ricostruire dopo decenni di oscurità e di paura. Fanno parte di questo cammino che, come diceva Lenin, non è diritto e piano ma tortuoso e difficile, e dove accanto all’estrema determinazione di percorrerlo non v’è alcuna certezza sui tempi necessari a mandare in rovina lo stato delle cose presenti.Il compagno Feltrinelli è morto. E gli sciacalli si sono scatenati. Chi lo vuole terrorista e chi vittima. Destra e sinistra fanno il loro mestiere di sempre. Noi sappiamo che questo compagno non è né una vittima, né un terrorista. E’ un rivoluzionario caduto in questa prima fase della guerra di liberazione dello sfruttamento. E’ stato ucciso perchè era un militante dei GAP. E carabinieri, polizia, fascisti esteri e nostrani lo sapevano e lo sanno benissimo. E’ stato ucciso perchè era un rivoluzionario che con pazienza e tenacia, superando abitudini, comportamenti, vizi, ereditati dall’ambiente alto-borghese da cui proveniva, s’era posto sul terreno della lotta armata, costruendo con i suoi compagni i primi nuclei di resistenza proletaria.E’ probabilmente vero che la ricerca affannosa che, da mesi, fascisti e servizi segreti vari avevano scatenato per prendere Feltrinelli, si è intensificata dopo il contributo ulteriormente portato dei GAP nello smascheramento dei mandanti e degli esecutori della strage del dicembre del ’69. E’ probabilmente vero che questo compagno ha commesso, per generosità, errori fatali di imprudenza – cadendo così in un’ imboscata nemica la cui meccanica è a tutt’ oggi oscura. Quello che è certo è che di questo assassinio si sono fatti complici tutti coloro che cercavano un <<mandante ed un finanziatore>> per l’attività dei gruppi rivoluzionari. Dal Secolo all’ Unità in una paradossale unità d’intenti dopo la manifestazione del giorno 11 a Milano, tutti hanno latrato : vogliamo il mandante, vogliamo il finanziatore. Come se la lotta di strada, la lotta di piazza avesse bisogno di finanziatori. Le bottiglie <<molotov>> sono generi di largo consumo nell’ Italia degli anni 70. Costano poche centinaia di lire. Come dire alla portata di qualsiasi militante. Sono le attrezzatissime bande fasciste, sono i giornali di partito senza lettori, sono le costose campagne di pubblicità elettorale, sono i mastodontici apparati di Partito che richiedono e trovano i finanziamenti di Cefis, di Agnelli, di Borghi, di Ravelli – oltrechè il generoso contributo delle casse statali e parastatali. Comunque loro – destra e sinistra – volevano il mandante, il finanziatore. Fascisti e servizi segreti glielo hanno trovato. Un cadavere straziato di un pericoloso rivoluzionario che aveva deciso di far sul serio è diventato utile per la bisogna – perchè era Giangiacomo Feltrinelli discendente di una delle famiglie più ricche del paese. Ed i giornali della borghesia si sono affrettati a sputare sopra il cadavere. Con tutto l’odio che si sente per un traditore. Perchè è vero. Giangiacomo Feltrinelli li aveva traditi. Aveva rotto con il suo ed in tre anni densi di attività minuta, continua e coraggiosa era diventato un rivoluzionario. E i miliardari che finanziano i partiti, si drogano al <<Number One>>, vogliono l’ordine e la morale nelle fabbriche e nelle scuole – e per questo utilizzano le bande fasciste – non possono perdonare questo figlio degenere.

Fausto e Iaio, è proprio ora di cambiare canale

Un racconto di Paola Staccioli a 35 anni dall’omicidio di due militanti del Leoncavallo che indagavano sull’intreccio eroina-fascisti



di Paola Staccioli
«Ma che sei laziale? Guarda che se lo sa Marione te concia per le feste!» dice ridendo e con lo sguardo rivolto alla radio.
La mia espressione diventa subito seria. Chiedo, indicando anch’io l’apparecchio: «È lui il tizio di quella trasmissione… quella sulla Roma…». Fa cenno di sì, e un sorriso illumina i suoi occhi: «Te la do io Tokyo… Grande Marione, ne ha per tutti. Non guarda in faccia nessuno!» Ho un brivido. Mi immergo nei ricordi. Per i compagni uccisi…
Morte, memoria infangata. Depistaggi. Omicidi politici fatti passare per risse fra balordi o regolamenti di conti. Spaccio di droga. Furti di verità. Furti di identità.
Come per Fausto e Iaio. È il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento Moro. In una strada buia di Milano, al Casoretto, dalle parti del Leoncavallo, verso le otto di sera cadono crivellati di colpi due compagni diciannovenni, Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci. A ucciderli sono tre individui con un impermeabile bianco. Killer professionisti, che usano sacchetti di cellophane per non lasciare bossoli.
Fausto e Iaio non sono leader del centro sociale, anche se lo frequentano, né dell’Autonomia milanese, con cui stanno lavorando alla redazione di un libro bianco sull’eroina. Un dossier con nomi e foto di spacciatori. Che può far emergere legami fra grande criminalità, fascisti, apparati dello Stato. Subito dalla questura parte la velina. Regolamento di conti fra drogati. Un giornalista de «l’Unità», Mauro Brutto, vuole capire la verità. Prima minacciato, muore poi per un investimento quantomeno sospetto. Fra depistaggi e fatti sconcertanti vari, l’inchiesta si conclude senza colpevoli. Nel 2000 il procedimento contro Massimo Carminati, Claudio Bracci e Mario Corsi viene archiviato, nonostante i pesanti indizi e le dichiarazioni di pentiti della destra.
Mario Corsi, ex militante dei Nar. È lui il popolare Marione radiofonico… qualcuno dice di averlo sentito vantarsi per l’omicidio di Fausto e Iaio. Nel 1984 viene inquisito anche per l’uccisione di Ivo Zini. Assolto in primo grado, condannato a ventitré anni in appello, assolto in Cassazione.
«Che ti è successo?» chiede, e le sue parole mi riportano nella realtà.
«Poi te lo spiego, intanto cambia canale, per favore!» rispondo con una smorfia di fastidio e subito i pensieri tornano a confondersi con i ricordi … non basta il lutto, pagherete caro pagherete tutto!
Nel 2012 il sindaco di Roma Alemanno ha consegnato a Mario Corsi un premio, il Microfono d’oro,per le sue trasmissioni.
È proprio ora di cambiare canale. Non solo radiofonico.
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Tano D’Amico (non perdetevi i suoi ultimi libri editi da Postcart :”Anima e Memoria” e “Di cosa sono fatti i ricordi” )

L’immagine vive perchè è capace di chiamare, di succhiare la vita stessa dello spettatore. Amavo la vita reale. Ho sempre amato la vita reale. Più delle immagini. La cercavo e la cerco. I Movimenti dei miei anni hanno portato nella Storia chi nella Storia non era mai entrato. Si era formata una coscienza, una consapevolezza nuova. Ci presentammo tutti insieme nelle starde tenendoci per mano….Una… buona fotografia, una fotografia che dà l’avvio ad un pensiero, che diventa parte di noi, che non possiamo dimenticare, è sempre frutto di conoscenza, di studio,di interesse, di partecipazione, di amore. Sono queste fotografie che non si fanno consumare. Consumano, ci lavorano dentro. Sono fotografie che hanno una personalità, una vita propria. Una fotografia capace di andare oltre la realtà così come appare. Andare oltre il suo senso letterale. Una fotografia che cerca il visibile per mostrare l’invisibile. Affetti, speranze, ricordi, consapevolezza,diversità.
La vita irrompe nell’animo del fotografo.
Forse la mia generazione doveva nascere solo per questo. Forse solo per questo verrà ricordata. Per avere accompagnato sulla soglia della storia quelli che nella storia non erano mai entrati. Quelli che la storia l’hanno sempre subita. Quelli che la storia non aveva mai degnato di uno sguardo. Quelli che anche i testi sacri della sinistra disprezzavano.
Ci tenemmo per mano con le donne e gli uomini comprati e venduti, i carcerati, i rinchiusi nei manicomi, i rinchiusi nelle caserme, i senza casa, i senza possibilità. Con loro formammo un ceto nuovo, che non c’era mai stato.
Ideali nuovi lacerarono quella che doveva essere la storia. Da quegli strappi comparve una immagine nuova, brillò la bellezza, la dignità, la consapevolezza dei senza potere. Con la nostra sconfitta è rimasto solo il modo di vedere del vincitore.
( Tano D’Amico )
Foto: Forse la mia generazione doveva nascere solo per questo. Forse solo per questo verrà ricordata. Per avere accompagnato sulla soglia della storia quelli che nella storia non erano mai entrati. Quelli che la storia l'hanno sempre subita. Quelli che la storia non aveva mai degnato di uno sguardo. Quelli che anche i testi sacri della sinistra disprezzavano. Ci tenemmo per mano con le donne e gli uomini comprati e venduti, i carcerati, i rinchiusi nei manicomi, i rinchiusi nelle caserme, i senza casa, i senza possibilità. Con loro formammo un ceto nuovo, che non c'era mai stato. Ideali nuovi lacerarono quella che doveva essere la storia. Da quegli strappi comparve una immagine nuova, brillò la bellezza, la dignità, la consapevolezza dei senza potere. Con la nostra sconfitta è rimasto solo il modo di vedere del vincitore.
ogni bella immagine costa la tensione di una vita intera. Costa un amore infinito, più di qualsiasi avvenimento contano gli occhi che lo guardano.  ( Tano D’Amico )

Antonio Lorenzini è un poliedrico e vulcanico fotografo senese, animatore del Collettivo F/13 , instancabile organizzatore di eventi fotografici non allineati, creatore tra le tante cose del progetto “Omaggio a Fellini 8e mezzo a Principina “. Qui riportiamo il video di una delle sue ultime mostre, dedicata alla strage dei minatori di Niccioleta perpetrata dai nazifascisti nel giugno ’44

http://youtu.be/hEfXk2r72k4
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Trailer : Il sangue politico. Una storia che le riassume tutte
http://www.youtube.com/watch?v=-Tjm88bE0ZY

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Film: Colpo al cuore. Morte non accidentale di un monarca
http://vimeo.com/60463966

È stato morto un ragazzo. Film su Federico Aldrovandi

http://youtu.be/iGCjrPSwbZQ
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Questa volta salta la rubrica dedicata a Luciana Bellini (ma preannunciamo per il prossimo numero il nuovo bellissimo racconto “tre pezzi cento lire” )
allora riempiamo questo spazio con l’ANGOLO DEL CRETINO INTEGRALE. Sì, cretini ce ne sono molti in giro (era Fruttero se non mi sbaglio che teorizzò la prevalenza del cretino ) ma cretini integrali un po’ meno. Questa volta ne segnalamo due ingiustamente sottovalutati : Ingroia e Magdi Cristiano Allam. Il primo tra le tante è riuscito nell’impresa storica di mettersi a capo di una coalizione “alternativa” che aveva sulla carta l’8 % dell’elettorato, a chiamarla Rivoluzione Civile ( !) a scippare nel simbolo il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo (!) a imbarcarci rottami idv, pdci, rc, verdi , preti e sbirri sparsi e a raggiungere il 2 % cioè nemmeno il risultato della sinistra alternativa al PCI di 40 anni fa….dopo aver dichiarato che pur non avendo preso seggi in parlamento il progetto continuava verso albe radiose, ha visto bene di accettare al volo,  che non lo riprendevano manco in Guatemala, l’incarico che Crocetta gli ha affidato come capo riscossione tributi della regione Sicilia…grandioso, da Rivoluzione Civile a Riscossione Incivile ! Adesso aspettiamo tutti quelli che ci hanno insultato in campagna elettorale difendendolo a spada tratta, che ci servono braccia per zappare gli ulivi, grazie !
E Magdi ? Scambiato anni fa per un fine intelletuale “islamico buono ” da contrapporre ai Cattivi, è l’esempio vivente del provincialismo italico. Assunto al Corriere della Sera e subito promosso vicedirettore (!) decideva di farsi battezzare e convertire e non da un vescovo qualunque ma dal Papa (quello in pensione) con solenne cerimonia (!) Eletto poi dai fascioberluscones europarlamentare aumentava la virulenza delle sue invettive antislamiche suscitando qualche imbarazzo persino nel pdl (!) Alle ultime elezioni si è allora presentato con una lista autonoma con il suo nome nel simbolo, una bandiera italiana e una vaticana, e il motto “io amo l’italia “. Deluso dallo 0,2 raccolto, deluso dal Vaticano troppo moderato, ha appena deciso di scristianizzarsi per protesta, attendiamo ansiosi nuova conversione o magari la fondazione di una sua chiesa personale : meraviglioso ! Un po’ meno tutti quelli che lo hanno preso sempre sul serio e utilizzato per lunghi anni, non risultano scuse per adesso….

le foto di questo numero sono di  Stefano Pacini,  Antonio Lorenzini ,Tano D’Amico e altri autori non identificati (fatevi vivi)
Link utili
 www.stefanopacini.org
www.radiomaremmarossa.it
www.carmillaonline.com
 www.ltmd.it
 www.infoaut.org
http://collettivoanarchico.noblogs.org
  www.senzasoste.it
www.finimondo.org
femminismo-a-sud.noblogs.org/

Maremma Libertaria Esce quando può e se e come gli pare. Non costa niente, non consuma carta e non inquina, se non le vostre menti. Vive nei nostri pensieri,perchè le idee e le rivoluzioni non si fanno arrestare, si diffonde nell’aere se lo inoltrate a raggera. Cerca di cestinare le cartoline stucchevoli di una terra di butteri e spiagge da bandiere blu,che la Terra è nostra e la dobbiamo difendere! Cerca di rompere la cappa d’ipocrisia e dare voce a chi non l’ha, rinfrescando anche la memoria storica, che senza non si va da nessuna parte. Più o meno questo è il Numero 11 del  29 marzo 2013. Maremma Libertaria può essere accresciuta in corso d’opera ed inoltro da tutti noi, a piacimento, fermo restando l’antagonismo , l’antifascismo e la non censura dei suoi contenuti.
In Redazione, tra i cinghiali nei boschi dell’alta maremma, Erasmo da Mucini, Ulisse dalle Rocche, il Fantasma della miniera, il subcomandante capraio, Alberto da Scarlino, Alessandro da Grosseto, Antonello dalla Tuscia, Luciana da Pomonte,Complici vari , Ribelli di passaggio,maremmani emigrati a Barcelona.
No copyright, No dinero, ma nel caso idee, scritti, foto, solidarietà e un bicchiere di rosso.
My way Sid Vicious !  http://youtu.be/HD0eb0tDjIk
Nostra patria il mondo intero, nostra legge la Libertà, ed un pensiero Ribelle in cuor ci sta (Pietro Gori) http://youtu.be/_KVRd4iny8E

Potranno tagliare tutti i fiori, ma non riusciranno a fermare la Primavera (Pablo Neruda) http://youtu.be/wEy-PDPHhEI (Victor Jara canta Neruda)

Sempre, comunque e dovunque : Libertà per tutti i compagni arrestati !– Fori i compagni dalle galere !-Libertad para todos los presos ! – liberdade para companheiros presos! -comrades preso askatasuna!- liberté pour les camarades emprisonnés!-freedom for imprisoned comrades !- Freiheit für inhaftierte Genossen!- ελευθερία για φυλακισμένους συντρόφους ! – الحرية لرفاق