Stefano Pacini, Noi sogniamo il mondo

Non si sogna mai abbastanza. Non si sogna insieme abbastanza. Quella che scambiamo per maturità nostra e del mondo che ci circonda, somiglia sempre più a un campo di macerie. Non è questione di nostalgie adolescenziali. È una realtà che sta prendendo sempre più i connotati di un incubo, lontana anni luce sia dall’ottimismo utopistico di fine anni ’60, sia dal pragmatismo modernista che suggeriva la fine della Storia dopo la caduta del Muro di Berlino.
Abbiamo smarrito del tutto, paradossalmente, in questa epoca digitale che della velocità, della comunicazione e dell’immagine fa idoli di massa, ogni radice di noi stessi, della nostra storia, dei nostri sogni. Affoghiamo in un mare di immagini inutili, onanistiche, replicanti di una vita subita e non vissuta.
Immagini senza futuro, destinate ad evaporare come acqua nel deserto digitale per la effimera esistenza di pc, hard disk e altri apparati impalpabili. I figli del vento si piegavano sotto le bufere come gli alberi, adesso tutto vola via nel limbo di un polverone infinito, lasciando alle nostre spalle il futuro.
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“Noi sogniamo il mondo” non è solo un libro fotografico di reportage che abbraccia luoghi e genti, è un sogno lungo quarant’anni, un viaggio verso Itaca che non finisce più, un diario fotografico, una serie di domande senza tempo sul senso della vita, sulla memoria, di una generazione che declinava il noi partecipativo, dai giochi di strada all’esplorazione del mondo, al sogno di una vita diversa illuminata di sorrisi, nutrita di utopia.
Ha richiesto una vita intera, spesa camminando per le strade con unica bussola la libertà, sempre andando e fotografando, sempre domandando, domande che non si esauriscono mai, che rimarranno ad interrogare chi verrà dopo di noi, e proverà ancora emozioni e sarà stimolato a riflessioni e chissà, persino nuovi sogni.
Certe fotografie oramai hanno una vita propria, e non smetteranno mai di vivere. Fotografando il mondo se ne diventa parte, e mettendo in circolo queste foto si condivide la sua sterminata umanità, unico antidoto contro la paura, l’odio, la guerra. È un progetto che non ha sponsor o padrini, si regge solamente sull’empatia e la solidarietà di quanti mi hanno sostenuto con i loro sorrisi in questi anni, e sui vostri, nei giorni a venire.
il muro contro i rom, Reggio C.-2Come ha scritto Alessandro Pagni in “epopea contadina di amore e anarchia”… “Questo libro, che racchiude gli scatti più significativi della produzione del reporter maremmano,che redige pure da anni una rivista on line, Maremma Libertaria, è un taccuino di appunti, un diario appassionato di come era il mondo “prima”. E quel “prima”, non deve necessariamente leggersi con una qualche connotazione nostalgica o un retorico e inutile “prima si stava meglio”; il “prima” a cui alludo è il senso del momento, dell’attimo irripetibile, è l’arco di tempo in cui non cerco di interpretare gli eventi ma lascio che mi entrino dentro e mi modellino, perché ne faccio parte: cimeli da conservare e guardare più tardi, nella solitudine dei nostri pensieri.
Oggi, inevitabilmente, quel taccuino che ha visto il mondo, fatto di un ventaglio invidiabile di occasioni possibili, assume l’aspetto di un’antologia di lezioni imparate, punti su una mappa che tracciano il vertiginoso, struggente, racconto di una vita.”
Mentre Alberto Prunetti ha aggiunto: “Stefano ha raccolto alcuni dei suoi scatti migliori, realizzati tra gli anni Settanta e i nostri giorni. Stefano fa con le fotografie quello che i poeti in ottava rima fanno con le parole: conserva la memoria, crea un archivio pubblico di un mondo che purtroppo sta scomparendo. Un mondo di un’umanità che sapeva ancora sognare l’utopia.
 

Dai ventenni fricchettoni degli anni settanta ai contadini della maremma mineraria, quanti si sono trovati di fronte un ciclopico fotografo barbuto, armato di un unico occhio fotografico, che si ergeva di fronte a loro con la grazia di un fattore che viene a controllare la vendemmia? Era Stefano che, reflex in spalla e pennato in cinghia, prelevava con l’obiettivo una marza di realtà per innestarla nel suo archivio personale.
Dopo tanti anni di riposo all’ombra, la linfa fotografica torna a scorrere e l’archivio germoglia in questo meraviglioso libro di istantanee. Alcuni si riconosceranno in quelle fotografie, altri si sogneranno in quelle stampe di un bianco e nero esemplare. Col dubbio che quel mondo che non conosciamo, che desideriamo come l’isola che non c’è, non sia altro che il sogno sognato da un fotografo-contadino-demiurgo, reflex in spalla e pennato in cinghia, che costruisce l’utopia fotogramma dopo fotogramma.
Stefano Erasmo Pacini – “Noi sogniamo il mondo”, Effigi edizioni – pag 180 formato 22×22
pubblicato su Frontierenews luglio 2016