Maremma libertaria n 16
Il passato e futuro contro il presente
Un secolo. Considerato a una certa distanza sembra microscopico, appena un sospiro da un punto di vista storico. Ma è anche il momento cardine fra nonni e bisnonni, fra volti noti e foto ingiallite, fra tratti vicini e storie lontane. 1914-1918.
Si avvicinano molte commemorazioni, magari alla presenza di signori signore alti dignitari. Si tengono discorsi che pretendono che «noi» abbiamo imparato dalla storia, che «noi» siamo ora sulla buona strada. Una nota effimera qui (i miglioramenti sono sempre possibili), una confortante pacca sulla schiena là, e come apoteosi quell’inevitabile «Mai più guerra». Una barzelletta che non va fuori moda; le persone di potere che si ergono da pacifisti. Anche le esequie di Mandela hanno costituito una di quelle opere teatrali i cui attori sono conosciuti. Quelli che rivendicano il monopolio della violenza, comandano e armano eserciti e milizie (o polizie se preferite), stringono alleanze per conquistare e occupare territori (war on terror o missioni di pace, nella neolingua), timbrano le autorizzazioni di esportazione di materiale bellico con destinatari spesso ambigui ma dagli obiettivi sempre chiari; dall’oppressione allo sterminio. È uno scherzo amaro. Si possono studiare le cause, trarre conclusioni? E allora? Vogliamo continuare a ripeterci con le nostra grida contro la guerra e i potenti, nell’attesa di un altro esito?La storia che si proietta nell’avvenire può essere negata? Forse sì. Non è ciò che fanno gli anarchici? Battersi, contro ogni ragione (ovvero, contro la ragione di questa società), per un’altra possibilità, quella della libertà. Non perché vogliamo essere martiri o pedanti che aspirano ad un posto nei libri di storia, come «quelli che erano nel vero fin dall’inizio». Questi stessi libri dimostrano già che una simile speranza è vana. Gli anarchici che lottavano contro le mobiltazioni della guerra erano convinti della propria causa. Loro o le loro idee hanno poi avuto qualche riconoscimento? Per niente. Ciò rende i loro sforzi futili e persino ridicoli? Assolutamente no. Perché una ripetizione della storia, un conformismo con questa società, non è la vita. La vita perde il suo significato, quando diventa una fatalità, se noi rifiutiamo di agire
Vi auguriamo un tumultuoso 2014-2018.
……….
Perché allora siamo anarchici? Perché sappiamo che esistono solo due possibilità: l’autorità, o la libertà. Non vi è nulla da reclamare nel senso di «più» o «meno» libertà, attraverso ciò spesso non si fa che indicare una data forma di gestione dell’autorità. L’autorità può gestire i rapporti sociali in maniera democratica, vale a dire con una sembianza di partecipazione ed un maggiore coinvolgimento dei cittadini, così come può gestirli attraverso la guerra e il massacro. E quasi sempre le differenti forme di gestione sono presenti contemporaneamente, rafforzandosi le une con le altre.
L’autorità e la libertà si escludono reciprocamente. E noi siamo anarchici perché vogliamo la libertà, la fine di ogni oppressione e di ogni sfruttamento. Se vogliamo la libertà, non può esistere autorità. È la ragione per cui la lotta anarchica è una lotta distruttrice. Essa non aspira a tenere a distanza o a ingentilire, né a minimizzare o ad adattare, la lotta anarchica mira alla distruzione, all’eliminazione dell’autorità sotto tutte le sue forme, in tutte le sue espressioni.
L’autorità si esprime in tutti gli ambiti della vita individuale e sociale. Contrariamente ad altre correnti rivoluzionarie, la lotta anarchica combatte l’autorità nel suo insieme, dunque in tutti i suoi aspetti. Essa rifiuta l’idea che certe espressioni dell’autorità debbano essere combattute come priorità, che occorra per esempio distruggere prima il capitale e solo dopo lo Stato, prima la proprietà privata e dopo il patriarcato. Tutte queste espressioni sono intimamente legate ed ecco perché l’anarchismo tende ad essere una lotta integrale. È per questo che parliamo di conflittualità permanente.
(Salto)
“Non sono un ladro, né un assassino, sono un ribelle. Non vi riconosco il diritto di interrogarmi, perché qui, sono io l’accusatore. Accuso questa società matrigna e corrotta, in cui l’orgia, l’ozio e la rapina trionfano impuniti, e anzi venerati, sulla miseria e sul dolore degli sfruttati. Voi cianciate di furti, voi mi chiamate ladro come se un lavoratore che ha dato alla società trent’anni della sua avvilente fatica per poi non avere neppure il pane per sfamarsi, un cencio… per coprirsi, un canile in cui rifugiarsi, potesse mai essere un ladro. Voi sapete bene che mentite, voi sapete meglio di me che è furto lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che se al mondo vi sono dei ladri, questi vanno cercati tra coloro che oziando gozzovigliano a spese dei miserabili, i quali producono tutto, con le proprie mani martoriate. […]
Io non tendo la mano a chiedere l’elemosina. Io pretendo che mi sia riconosciuto il diritto a riprendermi ciò che mi è stato tolto da una congrega di accaparratori, ladri e corrotti.
Non m’ingannate più. E, in cuor mio, non vi perdono.”
Dal discorso che l’anarchico Clément Duval pronuncia nel 1887 durante il suo processo
(tratto da Nessuno può portarti un fiore di Pino Cacucci)
In morte di Davide Bifolco….
http://www.zer081.org/2014/09/11/non-e-un-paese-per-poveri-davidebifolco-e-il-razzismo-di-classe-in-italia/
Il tutto supportato (e girato) dall’eccellente articolo di Wu Ming 1 sulla questione:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=18935
Ricordando Marco Dinoi
Tra il “sembra vero”, con cui gli avventori del Grand Café accoglievano nel 1895 le prime proiezioni cinematografiche dei fratelli Lumière, e il “sembra un film”, con cui lo spettatore televisivo dell’attentato contro le Twin Towers ha reagito a quelle immagini, c’è forse un salto cognitivo che manifesta un aspetto della nostra epoca con cui già da tempo ci troviamo a fare i conti.
Ecco come inizia il libro di Marco Dinoi “Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema”
Su Lavoro Culturale potete leggerne un estratto, proprio oggi che ricorre l’#11settembre
http://www.lavoroculturale.org/lo-sguardo-e-levento-i-media-la-memoria-il-cinema/
A proposito di Fotografi in Corso alla Corte dei miracoli di Siena…
“Levate le serrature dalle porte, togliete anche le porte dai cardini !”
(Allen Ginsberg, Urlo, 1955)
La Fotografia non registra l’esistente. Un approccio di questo tipo sarebbe limitativo per voi, per le vostre potenzialità, per la buona riuscita del corso stesso.
La Fotografia non è avere una buona macchina, un buon manuale, un po’ di occhio per la luce, nè, tantomeno, seguire pubblicità demenziali del tipo “non pensare, scatta!”.
Non è neppure solamente mettere in linea mirino, occhio e cuore, come raccomandava il grande Henry Cartier Bresson. O vagare per l’Europa degli ultimi come il primo Joseph Koudelka, o confezionare grandi lavori emotivi-estetici come Sebastiao Salgado o rigorosi come Francesco Zizola.
Abbiamo cominciato quasi per gioco 10 anni fa, ma ogni volta è diverso, dovete saperlo. Non è un corso a “favore”, non sarà facile e neppure gradevole alle volte. Certo, faremo teoria e pratica, uscite e gite, incontri e scontri, ci misureremo con portfoli ed omaggi a fotografi scomodi, con un tema a fine anno per la mostra finale per chi vorrà seguirci anche dopo Natale, primo passo verso l’ignoto. Ma, se avete dubbi, se mollerete perchè avete troppi impegni, se non vi sforzerete di fotografare e discutere, condividere le vostre imprese con noi e i compagni di avventura, NON ISCRIVETEVI. Non perdete tempo. In caso contrario vediamo di cambiare prospettiva! Il nostro non è solo un corso, ma vuole essere una scelta consapevole. Perché siamo realisti, fotografiamo l’impossibile.
La nostra Fotografia si fa braccio armato della nostra e altrui sofferenza, sensibilità, desiderio. Deve essere uno sguardo ulteriore verso una realtà taciuta ed ignorata, annichilita da un diluvio di immagini che con la Fotografia non hanno parentela, neppure alla lontana.
Dobbiamo fotografare l’indicibile. Brandelli di umanità, fantasmi erranti della Libertà, molliche di Pollicino di memoria storica, ma, soprattutto, l’altro dal visibile.
Iniziare a vagare per le città con sguardo nudo senza riconoscerle, senza dare mai più niente, niente, di scontato.
Fotografare può essere ben più di una coperta robusta alla Linus.
Fotografare può essere la nostra zattera nel mare in tempesta oltre le colonne d’Ercole. Un viaggio comunque di sola andata. Perché, come scriveva Camillo Berneri dell’Utopia (la Fotografia) accende una stella nel cielo della dignità umana, ma ci costringe a navigare in un mare senza porto.
( Fotografi Contro)
Grande workshop con Shobha Battaglia alla Corte dei miracoli….
foto di Soraya Gullifa
qui intervista a Shobha….
http://www.propagandatoscana.com/interviste/item/shobha-battaglia-fotografa-nel-nome-della-fotografia.html
Almeno ricordiamoci del volto delle donne curde che muoiono combattendo contro la barbarie nazifanatica nell’indifferenza del nostro mondo occidentale..
onore alla compagna Arin Mirkan
Sito da esplorare di comunità anarchiche
http://www.anarca-bolo.ch
Un film molto attuale…come dice Fiorenza Bettini :
Nabi Saleh Film. Questo è il film che ci hanno mostrato alcuni attivisti del Comitato di resistenza non violenta del villaggio di Nabi Saleh, West Bank. La nostra delegazione ha poi partecipato alla manifestazione del venerdì al fianco degli abitanti del villaggio insieme ad altri attivisti israeliani e internazionali. Recentemente sono stati due i giovani uccisi dalle pallottole dell’esercito: Rushdie nel 2012 e Mustafa del 2011.
Ecco come intervengono i soldati con i civili palestinesi
http://www.youtube.com/watch?v=4Uy72YZeC9s
buon compleanno a Piero Ciampi
www.youtube.com/watch?v=9XT-YGZC6vw
45 anni fa a Woodstock, Jimy Hendrix, il titano della chitarra elettrica, dopo di lui il diluvio………
https://www.youtube.com/watch?v=sjzZh6-h9fM
Da Viterbo e dalla Tuscia un grande, incontenibile Antonello Ricci
https://www.youtube.com/watch?v=A0e4-wCk2Vs
Wu Ming alla Corte Miracoli col foburgo di Pantaneto
Storia Libertaria
gli ultimi fucilati dal regime franchista…..
Banda armata maremmana, la Resistenza a sud di Grosseto Effigi ed.
“Per me la lotta contro il potere, anche nelle sue forme più sottili, più interiorizzate, è l’unica strada per conquistare la gioia reale di vivere, di amare, di giocare. Non è facile, poiché spesso la lotta per la sopravvivenza ti inaridisce e ti ottunde. Spesso il passato che pure ritieni di avere superato e liquidato ti risalta addosso con suoi rigurgiti castranti. Spesso risulta estremamente difficile scollarsi dai ruoli che i rapporti sociali t’impongono e che tutti sembrano richiederti. E’ essenziale comunque gettare tutta la propria passione nella continua ricerca di una condotta che spacchi l’esistente, di una condotta che ti permetta di giocare con i ruoli e su di essi (contro di essi) senza mai accettarne la corazza. Non ci si può identificare in null’altro che non sia il nostro processo di negazione . Non sempre ci riesco, ma il mio sforzo massimo e quotidiano è proprio per giocare sui ruoli, sapendo alla peggio subire, ma mai accettando l’esistente e le sue imposizioni.”
(da un’intervista a Riccardo D’Este, in “Vivere a sinistra. Vita quotidiana e impegno politico nell’Italia degli anni ’70″)
nuovo sito sul pensatore ribelle Max Stirner
http://www.maxstirner.org
Trovo questo vecchio pezzo del Living Theatre ancora attuale e splendido…
Julian Beck
Pinelli Baader manifesto
(traduzione di Serena Urbani)
Il corpo di Giuseppe Pinelli
continua a cadere dal quarto piano di ogni edificio italiano
ogni giorno per ogni donna italiana
che nella voce di vita del suo corpo protesta contro questo cadere
uguale al suo stesso cadere ai piedi di ogni uomo italiano
mente femminile serrata in sottomissione
il corpo di Giuseppe Pinelli
ancora e ancora cade dal quarto piano
d’ogni palazzo del privilegio
emblema d’un popolo ridotto al silenzio
il corpo di Giuseppe Pinelli
buttato giù dal quarto piano del cielo
ogni giorno per ogni lavoratore italiano
con la sua vita buttata via
dal lavoro forzato che uccide
il corpo di Giuseppe Pinelli
giace sprecato sul selciato
tragico rifiuto
come i corpi di tutti i disoccupati
stivati da capitale e stato nei campi di concentramento della povertà
il corpo di Giuseppe Pinelli
cacciato fuori dalla finestra d’una piramide
da sicari militari che brindano a principi
scritti su tavole di pietra e pergamene
tenute assieme da ganci di morte
il corpo di Giuseppe Pinelli
cade dalla finestra della questura di Milano
era il mio corpo quello che è caduto
ma continuo a cantare per voi
non potete fermarmi
le mie labbra ancora vibrano come la morta bocca d’Orfeo
e scorre la voce di Giuseppe Pinelli
suoni di luce per trasformare la guerra di classe in amanti
e le prigioni in vuote reliquie della tirannia fallocratica
il corpo di Giuseppe Pinelli
che cade a morte
è il corpo d’ogni vittima della violenza
è il corpo d’ogni bambino picchiato
d’ogni donna sotto il peso della proprietà
il corpo di Giuseppe Pinelli
cade come le speranze dei bambini
quando imparano che la vita dal dolce sapore
diventerà dalle otto di mattina alle otto di sera
come morte dal sapore di metallo paga zuppa denaro
quando verrà il loro turno di trovarsi un lavoro
ed essere cacciati fuori dalla finestra della vita
il corpo di Giuseppe Pinelli cade
come la risposta delle autorità porta in faccia
alla richiesta del permesso d’aver sentimenti
il corpo di Giuseppe Pinelli che cade
è l’eclisse di dio
l’oscuramento delle sante possibilità
il corpo di Giuseppe Pinelli che cade
è il cibo faticosamente prodotto dai contadini
finchè¨ il cielo della loro vita si è dissanguato all’orizzonte
ed è¨sparito
è il cibo che viene poi sprecato
nelle fogne d’ammassi inceneritori istituzionali strategie
di prezzi e mercati
il corpo di Giuseppe Pinelli
è il corpo di tutti noi
che abbiamo spiato tra le fessure del crepuscolo
il corpo di Giuseppe Pinelli che cade
è il corpo di sette lavoratori sette poeti caduti questa mattina
dalla finestra d’una fabbrica quando tutto è saltato in aria
chimica di morte valvole difettose e moralità
corpi buttati come zavorra da un sistema che non sa amare
abbastanza i corpi
il corpo di Giuseppe Pinelli
è il corpo di un anarchico che vedeva i prigionieri
nei più oppressi lavoratori sotto padrone
nell’essere umano più afflitto
a fianco di quelli che muoion di fame e sono perseguitati
e si disperano e son ridotti alla follia
e di quelli che son brutalizzati dal servizio militare e dall’attesa
di rapporti profondi nei corridoi
della burocrazia e di poter pulire i pavimenti nelle petroliere d’Alaska
e nelle sale del trono della democrazia senza umiliazione
il corpo di Giuseppe Pinelli cade
come cadono nel buco del tempo tutti i corpi di tutti i prigionieri
di tutte le prigioni del mondo
e tutto il mondo è¨una prigione tenuta dallo stato
e dovunque c’è¨una prigione c’è anche uno stato
il corpo di Giuseppe Pinelli è caduto
portando in sè la coscienza che si può vivere senza polizia
quando gli uomini abbandonano il mito
che possedere carne umana per esempio una donna
sia un piacere
il corpo di Giuseppe Pinelli cade come una musica
e le sue note per un secolo ci chiameranno
in assemblea generale a creare un teatro nel quale
nulla sia forzato
il corpo di Giuseppe Pinelli che cade
è il corpo di un anarchico convinto
che è¨possibile per noi produrre e distribuire
ogni chicco di riso necessario a nutrirci tutta la vita
senza banchieri e statisti a decidere chi deve piantarlo e
trasportarlo e chi dev’esser pagato e a che prezzo
il corpo di Giuseppe Pinelli che cade
è il corpo di tutti gli anarchici convinti
che possiamo metter ordine nel caos malato delle nostre esistenze
in questo squallido ospedale tenuto dallo stato
organizzando il nostro sano folle impulso di libertà
sapendo che il tempo è la realtà della libertà
il corpo di Giuseppe Pinelli
vola nell’aria
agitando garze di sogni e fasce d’una nuova medicina chiamata
mutuo soccorso concepita
da dottori anarchici per ricomporre i nostri bilioni di corpi smembrati
il processo di guarigione che si chiama rivoluzione
il corpo di Giuseppe Pinelli
sta cadendo è caduto ed ancora cadrà
e tutti noi siamo il corpo di Giuseppe Pinelli e stiamo cadendo
e la caduta deve finire dentro il sacco della morte
a dispetto di tutti i sogni e le ali di fasce di garza
e siamo caduti
e continueremo a cadere per sempre…..
L’angolo di Luciana Bellini
Questo è, in anteprima, l’introduzione per il nuovo, arrabbiato libro, di Luciana Bellini, prossimamente in giro per la Maremma libertaria…
C’era una volta una osteria ,vicino a Massa Marittima ,che presentava a cena uno scrittore,o un poeta, o un fotografo, insomma, che si dava parecchio da fare. Correva l’anno 2002, quella sera l’ospite era Luciana Bellini. Di lei sapevamo ben poco, che i computer e le applicazioni stentavano ad arrivare nelle terre alte selvagge, e il vento ci aveva solo portato notizie frammentarie : scrittrice-contadina maremmana di Pomonte vicino a Scansano, autrice di un alcuni libri, ” Racconti raccontati”,” C’è una volta la Maremma ” e “la Capitana” editi da Stampa Alternativa. Pareva quindi una serata avviata nel solco del folclore locale, tortelli vino e un poco di nostalgia per la nostra terra che fu. O forse anche lirica e interessante come qualche mese prima, quando alcuni grandi poeti estemporanei si erano sfidati nei contrasti in ottava rima fino a tarda notte.
Niente di tutto questo, quella sera abbiamo avuto la sorpresa e il piacere di conoscere una piccola grande donna, una piccola grande raccontastorie, piccola per la statura fisica, s’intende. Anello di congiunzione tra la nostra infanzia a pane strofinato col pomodoro, tra la nostra memoria e lingua dimenticata, ed un presente di smarrimento ma anche di ricerca di radici, identità e nuove sfide.
Luciana si ergeva tranquilla, sorridente, parlando in una lingua viva, colorata, fantasiosa, nuova eppure arcaica, trascritta pari pari nei suoi libri, trascinando i presenti, i lettori, all’interno di un mondo vivo, tutt’altro che nostalgico ed imbellettato. Man mano che avanzava il suo racconto, che nulla aveva a che fare con una presentazione classica di un libro, cessavano tutti quei fastidiosi rumori e spostamenti da osteria, anche chi era lì per caso era stato catturato dai colori di Luciana, che aveva azzittito persino l’editore alternativo. Una ragazza aveva alzato il gomito interrompendo più volte all’inizio, con frasi scombinate, i nostri tentativi di farla ragionare senza risultato, ma Luciana, senza fare una piega, si era seduta accanto a lei, abbracciandola e accarezzandola sui capelli, ammansendola un po’ a metà tra una creatura e una bestiolina, senza avere più interruzioni. Ecco, quella sera è stato amore a prima vista, a prima veglia. Che le veglie nei poderi ci evocava col suo narrare. E lì è iniziato un percorso letterario e girovago, culinario e storico sempre imprevedibile, nuovo, diverso. Che Luciana è anche una gran cuoca, e al podere Ragnaie ci siamo capitati diverse volte da lei e da Elvo, il capoccia. Se poi la inviti non si tira indietro, partecipa con piacere alle serate “serie” o alle baldorie presentative di una certa Maremma Libertaria divertendosi un monte.
Luciana sforna libri : ne “la Terra delle Donne” si fa portavoce delle donne delle campagne maremmane durante la riforma agraria. Luciana racconta anche cos’è raggiungere una età in cui riprendi fiato e ti accorgi che i figli sono andati via di casa, inizi a fare bilanci senza sconti ed ecco il recente ” il mestiere finito ” uno di quei libri che segnano un passaggio fondamentale: come dice mirabilmente il suo recensore Antonello Ricci :
“… con Il mestiere finito Luciana abbandona definitivamente il suo bozzolo di scrittrice contadina per volare, finalmente libera farfalla, scrittrice tout court. Scrittrice punto-e-basta. Eh sì, perché stavolta Luciana trova il coraggio di attaccare con le armi del racconto i luoghi più profondi remoti protetti (spesso rimossi) della nostra vita di uomini e donne: il privato del nucleo coniugale, le speranze disattese, le frustrazioni di una vita, il silenzio e le incomprensioni di una vecchiaia che prima o poi arriverà. A fianco di un uomo con il quale non si riesce a parlare di desideri e attese. Di cose più intime di quelle quotidiane. Di cose spirituali. E quindi si soffre. Ma proprio in questo frangente di bilanci urgenti, ultimativi quanto problematici, va detto che Luciana si rivela capace di analizzare fino in fondo con occhio impietoso e spassionato la propria fragilità di donna, di essere umano, la propria solitudine, la propria inestinguibile voglia di felicità e poesia, finendo per trovare accenti di verità universale. Luciana riesce insomma a trasfigurare la propria vita in letteratura senza aggettivi. Il mestiere finito è un racconto amaro, caustico a tratti. Ma anche (come sempre, in Luciana) lieve, pieno di garbo, pronto al sorriso. Luciana sempre innamorata della vita come miracolo. Sempre speranzosa nel domani come nuovo incipit. Sempre perdutamente innamorata del suo Elvo. E, infine, sempre ostinatamente felice sotto il cielo fecondo e turbolento di un mestiere finalmente ritrovato. E riprincipiato. Il mestiere di scrittrice.”
E allora Luciana risponde a queste note da par suo ricordando l’avvento della plastica e della modernità nelle campagne maremmane in un piccolo ma straordinario racconto che andrebbe fatto leggere nelle scuole, e ai nostri figli :
“….Dopo un po’ di tempo passarono giù pel vicolo du’ omini co’ sacchi ‘n spalla, ma n’erano cenciaioli: erano mercanti ! Questo però s’è capito dopo. Pagavano e pagavano bene secondo quelle donne. Compravano di tutto: si contentavano di poco chè pigliavano anche la roba rotta! Più era vecchia meglio era. Quella volta a la mi’ nonna gli sparirono di casa du’ lumini Richard Ginori. Nel bianco de la porcellana le roselline rosa spiccavano tra i bordi orlati e ricamati di più, e quella specie di bicchierino che stava lì sopra pareva ‘l giocattolo d’una bambola Regina. A me, quei du’ lumini m’ incuriosivano, e la mi’ nonna m’aveva detto che lì, prima-prima ci tenevano ‘l caffè in caldo. Si chiamavano lumini da notte perchè si tenevano ‘n camera, e se ‘n nottata ti sentivi male bevevi subito qualcosa di caldo. Tira tira la mi’ nonna ci ricavò cinquemila lire, ma nel prezzo c’era compresa anche la tazza da colazione col manico arricciolato che quei mercanti avevano adocchiato dentro il caffeause. Quella volta però c’ebbe da contrattà: si sgolò perchè gli sembrava troppo poco, lei voleva di più ! Un mi sembrò contenta: pensosa rigirava quel foglio di carta tra le mani. Pareva stanca. Si mise a sedè: guardava i soldi, guardava la vetrina..ma ormai i passi di quell’omini erano già spariti su pel vicolo. Allora ‘nno sapevo, ch’ero troppo piccina, oggi però so’ sicura che quel giorno con cinquemila lire quei mercanti di ricordi, oltre a quell’oggetti gli portarono via anche ‘n pezzetto di vita a la mi’ nonna: quella la presero e gne la pagarono. Per poche migliaia di lire quell’omini senza scrupoli, ‘n passo alla volta ‘n passo alla volta, ci portarono via un po’ di memoria…”
Luciana ha un cassetto pieno di quaderni scritti fitti fitti con calligrafia minuta, e non si sa mai cosa tirerà fuori. A chi le chiede come ha iniziato a scrivere, risponde sempre con l’aria di scusarsi “m’è scappato di scrivere”. Sì, perchè ricorda a tutti che le piaceva leggere, che nelle strette economie di una famiglia di campagna con tre figli quando faceva la spesa al mercato spesso riusciva a farci entrare anche un librino, ma, a pensarci bene, si è messa a scrivere perchè doveva raccontare e ricapitolare, e a quel famoso scrittore che durante un dibattito le disse della sua personale stanchezza e difficoltà nella sua opera, replicò sorpresa ” Povero ! Non la invidio, che per me scrivere è un piacere, è una gioia, se mi dovesse costare fatica non lo farei! “.
Questo è: Luciana si diverte, con lo spirito di quella bimba coi capelli arruffati, ribelli, che a scuola non ci voleva andare perchè preferiva i giochi di strada, l’aria aperta, e costretta nel banco si sentiva soffocare. Luciana si diverte e si prende in giro per non montarsi la testa, che quando a sua insaputa mandarono un suo racconto ad un concorso letterario ed arrivò quinto, all’amica al telefono che le diceva “tieniti forte” replicò “ma mi terrò? Torno ora da mungere duecento pecore!” e alla notizia “guarda che sei arrivata quinta!” ribadì “ah! Ma quanti s’era, cinque?”
E scrive, scrive… scrive vere lettere con buste colorate, fogli spiegazzati, ci scrive talmente bene e di cuore che anni fa facemmo un libriccino “millelire” dal titolo “Bellini queste lettere! Lettere di Luciana Bellin agli amici” per non perderle, per costudire le immagini che ci trasmetteva dalle campagne di Pomonte.
” No, io a casa non mi sento !!! Ci vivo, però, in questo mondo di “noi” e di “loro”: i DOC, europei, bianchi e puliti, mi puzzano tanto e sempre di più. Mi sento, io che so’ la classica casalinga di Voghera, sì, mi sento nera, gialla,albanese, terrona, zingara, sporca chè, il pulito in doppiopetto sull’attenti coll’inno sempre pronto alle stragi e ai funerali, non lo capisco, non lo sopporto. Le parate, i comizi : io ho paura di loro-sistema, di loro-potere, e non dei marocchini, dei senegalesi e delle badanti,che pur facendoci comodo, chiamiamo vucumprà e basta. La loro casa è la mia casa : senza maschere di perbenismo, senza educazione, senza “inriga! “, insomma, così, sbracati e basta, è la mia casa !”
Luciana che, nella quarta di copertina, faceva di sè in poche righe un ritratto calzante :
“C’è da di’ poco: il curriculum mio, non esiste, scritto e nemmeno nel computer! Eh, un pezzo di carta da incorniciare e appendere dietro la scrivania non c’è, un mestiere vero e intero nemmeno, dunque la carriera è quella che è. Da quando mi so’ maritata, io so’ riconosciuta come Coadiuvante al capoccia. Senti che titolo…quando lo lessi, prima mi sembrò ‘na parolaccia,poi, dissi: Merda !!! Chè, forse, era qualcosa di più. Te lo sai, io, a scuola non c’andavo volentieri, chè, volevo sta’ tutto’l giorno a gioca’ pe’ la strada, a imbrattammi di terra, d’acqua, di sole e di neve. Quello mi garbava a me. Però le femmine dovrebbero sta’ sempre all’ordine diceva la mi’ mamma, composte, precise, educate, pettinate…E io ‘sti spaghetti di capelli, anche oggi che so’ vecchia, no, il pettine n’ ce la fa, s’arrende, non li doma ! Forse ‘ sti capelli matti…quella so’ io !Questa qui: sempre il solito bastian contrario, il no congenito; nel vedere, nel bello a tutti i costi dentro al bello e al buono, il finto ! “
La Luciana ribelle, ironica, persino quella invelenita contro un mondo che pare andare a ramengo è comunque una scrittrice serissima, che, con garbo e un registro sempre lieve e poetico, riesce a raccontare storie molto dure, storie quasi sempre omesse, taciute, storie chiuse nei personali armadi del ricordo, del dolore, della vergogna persino. Storie che comunque inducono a riflettere sull’altro ieri che già ci pare perso, lontanissimo, che ci toglie la terra da sotto i piedi, mentre vaghiamo in questo anonimo immanente presente, senza prospettive, senza legami, senza futuro. Ma Luciana ci prende per mano con i suoi racconti, ci fa ricordare, riflettere e sognare, e allora ci sentiamo veramente meno soli.
(Stefano Erasmo)
Storie della Maremma che non si piegò
13-14 giugno 1944: la strage di Niccioleta
Niccioleta per la mia infanzia era il villaggio minerario a poche centinaia di metri dal podere dove ero nato e abitavo. Era il luogo di approdo di bus di operai e di passaggio di bus di studenti che scendevano dai poggi per la scuole di Massa Marittima. Era il luogo ove il 4 dicembre volate di mine a salve facevano tremare tutta la zona per festeggiare S. Barbara dei fulmini, la protettrice di pompieri, artificieri e minatori. Era, nonostante allora fosse piuttosto popolato e attivo, un luogo triste, ove s’intuiva subito che si era svolta una tragedia. Era, è, un villaggio decisamente antifascista, ricordo una manifestazione corteo per le sue vie indetta dalla sinistra extraparlamentare contro il fermo di polizia, Andreotti e Almirante, con la gente che si affacciava dalle finestre ritmando insieme a noi “missini assassini ! morte al fascio- morte al fascio -morte al fascio…. ”
Niccioleta era un podere, boschi di noccioli e acacie, più su verso Prata castagni, e poi cinghiali a popolarne i boschi. Questo fino al 1930. Poi la scoperta da parte della Montecatini di un importante filone minerario di pirite, ” oro degli sciocchi” per la sua lucentezza, il minerale ferroso fondamentale per ottenerne acido solforico per la grande industria. Siamo in pieno fascismo e l’autarchia si afferma sempre più nell’economia nazionale. Quindi a Niccioleta si apre una miniera, ma non una miniera qualsiasi, ma una miniera-villaggio minerario modello fascista, che il regime investirà molto in questo, per averne anche un ritorno d’immagine propagandistica. Ed ecco l’incrocio principale in cui oggi a pochi metri di distanza si fanno compagnia una Madonna e il monumento ai minatori caduti, sulla destra la piazza principale con il dopolavoro fascista , lo spaccio aziendale, i palazzi degli operai di moderna concezione per l’epoca, la chiesa dedicata a S. Barbara, protettrice dei minatori, e,invece, a sinistra della piazza, le palzzine degli impiegati e dirigenti, fino alla villa più grande del direttore della miniera. Poi la sbarra con il sorvegliante e gli impianti estrattivi, la palazzina della direzione, quella del dottore, le officine, laverie , gli spogliatoi. Tutto nuovo, ben squadrato e organizzato. Alcuni vecchi minatori canzonano i più giovani “siete diventati tutti signori ! ” quando il fascio organizza camion per il trasporto dei minatori da Massa Marittima alla miniera : fino ad allora erano 8 km da fare a piedi o in bici dal buio dell’alba al buio della sera a fine turno, una minestra, del pane, vino, poche ore di sonno prima di ricominciare. Un lavoro durissimo, esposto a incidenti, crolli, alla silicosi, la malattia che pian piano corrompe i polmoni di polveri fini fino a morirne. Eppure un lavoro privilegiato all’epoca, ben pagato rispetto alla fame e alle fatiche ancora maggiori dei campi e dei boschi maremmani. A Niccioleta piovono da molte regioni, scapoli e ammogliati, dalla Calabria e dal Veneto, dalla Sardegna e dalla Sicilia, ma, soprattutto, per le chiusure di miniere locali, dal Monte Amiata, molti da S. Fiora. Sono gli anni del consenso al regime, della proclamazione di un Impero farlocco ma che sarà letto come possibilità di fuggire alla fame, di nuove colonizzazioni, di nuove vite. Eppure, anche quando l’opposizione antifascista pare relegate all’estero e solo 12 professori universitari su oltre 4000 oseranno rifiutare il giuramento di adesione al partito fascista per poter insegnare, a Massa Marittima alcuni eroi che daranno la vita nella lotta di Liberazione ( Norma Parenti e la trattoria ononima sede per tutto il ventennio di riunioni antifasciste, Elvezio Cerboni, Enrico Filippi , Otello Gattolie molti altri) tengono viva la resistenza al regime.
E a Niccioleta saranno proprio i minatori venuti dall’Amiata a non piegarsi mai. Abbiamo notizie di canti clandestini per il 1 maggio, di attriti sempre più forti con i giovani del luogo cresciuti ed educati ad un fascismo fanatico, di un palco segato ad un gerarca e infine, di una grossa scazzottata tra le opposte fazioni con il pretesto del carnevale e di una maschera irridente ad uno squadrista. Lo scoppio della guerra, la militarizzazione del lavoro, i viveri razionati, non faranno che accrescere il malcontento e l’aperta ostilità al regime. La caduta del fascismo sarà salutata con gioia, le bande partigiane formatesi a pochi giorni dall’8 settembre, riceveranno uomini e equipaggiamenti. Inutilmente bandi repubblichini e nazisti ( firmati dall’allora sottosegr. Almirante, la copia originale che lo incastrò di fronte alla storia è conservata nel Comune di Massa Marittima) minacciano fucilazioni e rappresaglie. I primi giorni di giugno un nucleo partigiano irrompe nel villaggio che li accoglie festosamente : Dino- Dick leva il cappello al direttore della miniera e mettendoselo in testa gli dice: “adesso comandiamo un po’ noi, va bene ?” Ai pochi squadristi vengono sequestrate armi e gagliardetti, e vengono rinchiusi in casa. La moglie di uno di loro dirà: ” oggi ridete ma presto piangerete”. Sono gli ultimi giorni di guerra in alta maremma, i nazifascisti sono in ritirata, ancora non è iniziata la lunga catena delle stragi che in pochi mesi in Toscana provocherà oltre 4000 morti tra i civili inermi. I minatori organizzano turni di guardia alla miniera, temono che vengono fatti saltare gli impianti dai tedeschi in ritirata. Alcuni dei fascisti tra cui Nucciotti, Maggi e Calabrò scappano di notte e raggiungono il vicino comando tedesco di Pian di Mucini. Ingigantiscono i fatti, parlano di centinaia di minatori-partigiani in armi. Il comando tedesco devia su Niccioleta un battaglione di ss italo-tedesco e all’alba del 13 giugno i minatori vengono arrestati in massa e chiusi nei locali del dopolavoro. Con i nazisti collaborano attivamente gli squadristi fuggiti a Mucini. Sei minatori , tra cui padre e due figli, trovati armati di una vecchia pistola vengono immediatamente fucilati. Altri 77 verranno trasferiti a Castelnuovo Val di Cecina con la scusa di andare a lavorare in Germania e verranno fucilati anch’essi il 14 giugno. Per questa, e tante altre stragi, non ha pagato nessuno, nè tra i nazisti nè tra i fascisti. L’armadio della vergogna ha costudito e nascosto per decenni i fascicoli delle inchieste del dopoguerra, non era politicamente conveniente colpire i nemici di un tempo che potevano ancora tornare utili nello sventare la minaccia del più grande partito comunista d’occidente. Molti degli 83 fucilati erano di S. Fiora e dei paesi amiatini. Anche della strage, eccetto Massa, Niccioleta, l’Amiata, se ne è parlato o saputo ben poco nella stessa provincia di Grosseto, per non dire nel resto d’Italia. Solo negli ultimi anni, nuove testimonianze, libri, come quelli di Bruno Travaglini ” un luogo, un tempo ” o Katia Taddei ” coro per voci sole ” hanno rotto la cappa dell’oblio. Il 4 dicembre di alcuni anni fa, sotto tuoni, fulmini e pioggia, fu inaugurato il monumento a Niccioleta per gli 83. Ricordo il canto di “Bella ciao ” degli ultimi protagonisti ancora in vita. Intanto la miniera è stata chiusa, verrà inaugurato un parco-museo minerario. E’ chiuso anche il bar, alcuni visto i prezzi ci hanno preso casa, ma Niccioleta non è e non sarà mai più un ridente villaggio minerario.
Gli 83 minatori non scordateli, mai. Come cantava Pietro Gori ” date i fiori ai ribelli caduti/ con lo sguardo rivolto all’aurora / al gagliardo che lotta e lavora/ al veggente e al poeta che muor/ “
(Ulisse)
Norma Parenti
23 giugno 1944-23 giugno 2014 Massa Marittima
Norma Parenti, giovane madre, donna coraggiosa, antifascista, partigiana, medaglia d’oro della Resistenza, assassinata vilmente dai nazifascisti. A settant’anni dal suo martirio, la sua storia, la sua personalità, le sue immagini ottimamente raccolte con le ultime testimonianze nel libro edito da Effigi, “Norma Parenti-testimonianze e memorie” di tre autrici Cocolli, Pagni, Tiezzi, fanno emergere il suo esempio luminoso in un momento particolarmente buio. Anche per questo centinaia di persone sono accorse alla presentazione, anche per questo tutti quelli che la osteggiarono prima e dopo la sua morte, e imbalsamarono in un santino, perché troppo ribelle, anticonformista, scomoda, stanno finendo nella pattumiera della Storia. Norma invece è più presente che mai, la sua immagine liberata dai ceppi della retorica, si diffonde, moltiplica, ci parla guardandoci dritta negli occhi, obbligandoci a fare domande scomode, dure, non allineate.
il libro, comunque la si pensi, colma efficacemente un vuoto editoriale non più sostenibile, e crediamo che certi atteggiamenti delle “autorità” o dei super esperti del settore, che non hanno certo aiutato e contribuito alla sua realizzazione e diffusione, siano indice di povertà e miopia politica, intellettuale, umana.
(Erasmo)
qui anche il link del filmato e articolo apparso sul Corriere….
http://www.corriere.it/reportage/cultura/2014/norma-parenti-la-mia-resistenza-e-un-soffitto-pieno-di-stelle/
L’anarchia spiegata a mia figlia : il nuovo libro di Pippo Guerrieri, BFS edizioni qui in free download e streaming
https://archive.org/details/LanarchiaSpiegataAMiaFiglia
Anche il FNLC annuncia la fine della lotta armata….
http://www.corsicainfurmazione.org/64860/apres-lira-leta-flnc-corse-ladieu-aux-armes/2014/
Io non credo nei partiti. Ma non perché siano stati occupati da persone disoneste. Io non credo nei partiti perché non credo nella delega. […] Non sono un comunista. Io sono anarchico. Non mi interessa che il popolo vigili sull’amministrazione pubblica. Io non credo che il popolo debba essere amministrato da qualcuno. Io voglio il superamento di questa democrazia, non che venga amministrata decentemente. Questo era il dibattito negli anni ’60 rispetto ai manicomi. Qualcuno voleva umanizzarli, qualcun altro cancellarli. Si umanizza un’istituzione disumana solo cancellandola. ”
( Ascanio Celestini )
http://www.youtube.com/watch?v=w0IJ9LqJ0ss
le foto di questo numero sono in gran parte del movimento , di Stefano Pacini, Corrado Banchi o di autori non identificati che ringraziamo anticipatamente
Link utili
www.stefanopacini.org
www.radiomaremmarossa.it
www.carmillaonline.com
www.ltmd.it
www.infoaut.org
http://collettivoanarchico.noblogs.org
www.senzasoste.it
www.finimondo.org
femminismo-a-sud.noblogs.org/
anarresinfo.noblogs.org
http://www.anarca-bolo.ch
Maremma Libertaria Esce quando può e se e come gli pare. Non costa niente, non consuma carta e non inquina, se non le vostre menti. Vive nei nostri pensieri, perchè le idee e le rivoluzioni non si fanno arrestare, si diffonde nell’aere se lo inoltrate a raggera. Cerca di cestinare le cartoline stucchevoli di una terra di butteri e spiagge da bandiere blu, che la Terra è nostra e la dobbiamo difendere! Cerca di rompere la cappa d’ipocrisia e dare voce a chi non l’ha, rinfrescando anche la memoria storica, che senza non si va da nessuna parte. Più o meno questo è il Numero 16 del 7 ottobre 2014. Maremma Libertaria può essere accresciuta in corso d’opera ed inoltro da tutti noi, a piacimento, fermo restando l’antagonismo , l’antifascismo e la non censura dei suoi contenuti.
In Redazione, tra i cinghiali nei boschi dell’alta maremma, Erasmo da Mucini, Ulisse dalle Rocche, il Fantasma della miniera, il subcomandante capraio, Alberto da Scarlino, Alessandro da Grosseto, Antonello dalla Tuscia, Luciana da Pomonte, Complici vari , Ribelli di passaggio, maremmani emigrati a Barcelona.
No copyright, No dinero, ma nel caso idee, scritti, foto, solidarietà e un bicchiere di rosso.
My way Sid Vicious !
http://youtu.be/HD0eb0tDjIk
Nostra patria il mondo intero, nostra legge la Libertà, ed un pensiero Ribelle in cuor (Pietro Gori)
Potranno tagliare tutti i fiori, ma non riusciranno a fermare la Primavera
(Pablo Neruda)
http://youtu.be/wEy-PDPHhEI
(Victor Jara canta Neruda)
Sempre, comunque e dovunque : Libertà per tutti i compagni arrestati !– Fori i compagni dalle galere !-Libertad para todos los presos ! – liberdade para companheiros presos! -comrades preso askatasuna!- liberté pour les camarades emprisonnés!-freedom for imprisoned comrades !- Freiheit für inhaftierte Genossen!- ελευθερία για φυλακισμένους συντρόφους ! – الحرية لرفاق
0