Cuba que Linda in Jotoz
Non bisogna raccontare una storia per illustrare una tesi, o per mostrare uomini e donne fermi al loro aspetto esteriore, ma scoprire la materia di cui sono fatti. Raggiungere quel “cuore del cuore” che non si lascia afferrare né dalla poesia, né dalla filosofia, né dalla drammaturgia.
Robert Bresson
Manca una foto a questi appunti di viaggio su Cuba arricchite da ben 96 foto, scritto da Stefano Pacini di getto al ritorno da un soggiorno sull’isola quest’inverno. Ed è un’immagine che lo ritragga in giro per l’isola, con quella sua faccia apparentemente distaccata ma in realtà attenta a cogliere ogni particolare intorno a sé: sarebbe stata la foto simbolo del libro, più ancora di quella bellissima che campeggia sulla copertina del libro-cd rom Cuba que linda es Cuba, edito dal Fondo Boccardi.
Il libro e le foto sono un atto d’amore dell’autore nei confronti di un’isola e di un popolo davvero incredibile: “Cuba è l’isola che non c’è e che qualcuno vorrebbe non ci fosse proprio, e che invece ti accoglie braccia aperte, ed io qui mi sento a casa dal primo momento che respiro il suo odore tropicale, che cammino nelle sue strade deformate inondate di vita e musica, persino i suoi rumori mi sembrano suoni e mi giungono diritti all’anima “, dice Stefano.
Mentre le foto scorrono sullo schermo, piano piano il quadro si fa più nitido e preciso, scorrendo via via vecchi e poi bambini e poi automobili scassate e poi lavoratori di ogni tipo e poi immagini di Fidel e ancora cani affacciati al balcone, immergendoci sempre più in questa straordinaria isola che non c’è, ma che rappresenta una parte di noi. Due foto, quasi in sequenza, mi hanno colpito più delle altre. La prima ritraeva cinque ragazzi, ripresi di spalle, seduti su un muretto intenti a guardare l’orizzonte; la seconda, che sembrava fatta nel medesimo luogo, fissava sempre l’orizzonte, e da una parte un aquilone in volo nel cielo.
Credo che Cuba sia tutta in quei ragazzi e in quell’aquilone. Il futuro e il sogno. Entrambi importanti per andare avanti, perché senza l’uno non ci può essere l’altro.
Le foto finiscono, e Stefano non si è ancora visto sullo schermo. Fuori l’ autore, verrebbe da gridare,
come fossimo a teatro, per una pacca sulla spalla, una domanda, un sorriso. Ma, a ben vedere, Stefano è passato sul nostro schermo: era uno di quei ragazzi, era quell’aquilone. Il futuro e il sogno. Non mi sorprenderei se uno di quei ragazzi si voltasse e avesse il volto di Stefano: la scommessa di raggiungere quel “cuore del cuore” del racconto di cui parla Bresson è stata vinta, ora l’aquilone che è questo libro deve solo volare il più lontano possibile.
Recensione di Alessandro Tozzi
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