Le fotografie di chi sogna il mondo
DI JOSHUA EVANGELISTA
Molte passioni che segnano il percorso dell’esistenza iniziano per gioco. Così è stato per il fotografo maremmano Stefano Pacini, che a dieci anni, nel ’66, scatta una foto di gruppo durante una festa. L’emozione di toccare, dopo giorni di attesa, le stampe dell’immagine resterà per sempre impressa nella sua memoria.
È un’Italia che crede nel progresso, dove i genitori possono sperare che le vite dei figli saranno migliori delle loro, dove ci si batteva strenuamente per i propri diritti di lavoratori pur mantenendo sempre il sorriso che accompagna le piccole soddisfazioni della vita quotidiana. Così, in una Maremma che “era ancora una sorta di Far West” il giovane Stefano coltiva la sua passione e in pochi anni mette su una camera oscura insieme ad alcuni coetanei. La fotografia e il reportage sono in diretta connessione con i movimenti giovanili, con le lotte di piazza. Le Asahi Pantax vengono impugnate come armi, mentre nelle orecchie c’è Jimi Hendrix a stimolare la ribellione. Ma c’è anche la documentazione, la scoperta di autori come Robert Capa, Tano D’Amico e Josif Koudelka.
Quando decenni dopo, un’altra epoca, altre lotte, altra fruizione della fotografia sociale, Stefano Pacini contatta Frontiere News attraverso la mail di redazione per proporci alcuni dei suoi lavori, capiamo subito che le sue immagini formano un unicum con il suo percorso di vita e con i luoghi e i momenti da lui immortalati. La Lisbona della rivoluzione raggiunta in Mini Minor e senza un soldo si fonde con la Maremma del dopo-guerra, e poi con Cuba, Marocco, i rom di Calabria, la Camargue e tanto altro ancora.
Capiamo che ha tanto da raccontare, che i suoi resoconti, in cui le immagini si fondono con una scrittura evocativa e mai banale, sono totalmente in linea con la fame di autenticità che i nostri lettori pretendono dalle storie che pubblichiamo ogni settimana su questo magazine.
Oggi, finalmente, mezzo secolo di immagini di Stefano Pacini le trovate anche su carta. Noi sogniamo il mondo (Effigi edizioni) è un volume importante, una caccia al tesoro tra le tappe che hanno segnato il Novecento e la nostra memoria collettiva. C’è l’umanità dei ritratti di Stefano, ci sono i sogni con i quali si disegna il mondo e si mappa la nostra immaginazione (leggete qui una bella introduzione al libro). C’è un po’ di malinconia, perché i viaggi e i luoghi raccontati da Stefano “gambe in spalla e via a fotografare” ci sembrano oggi più lontani, nonostante la globalizzazione, i voli low cost e la digitalizzazione delle nostre esperienze. O forse proprio per tutti questi motivi insieme e perché i nuovi muri sembrano più alti di quelli che sono caduti.
Ma la malinconia non diventa commiserazione. Lo capiamo quando, ad esempio, dopo quarant’anni Stefano torna in Portogallo. Si celebra l’anniversario della Rivoluzione dei garofani e le sue foto sono in mostra a Lisbona. Così si parte di nuovo, “stavolta in aereo, con una macchina digitale ma, quando mi sono ritrovato nel palazzo della mostra con quelle mie foto in bianco e nero, mi è passata davanti tutta la vita in pochi minuti. Le foto che ho scattato a Lisbona nel maggio del 2014 chiudono così un cerchio di quarant’anni”.
Così, tra indios maremmani e senesi, occitani perduti e pacifisti, la fotografia di Stefano Pacini si lascia modellare dalla storia e dalle persone comuni che la vivono e la subiscono. “Che la fotografia, come diceva l’anarchico Camillo Berneri a proposito dell’Utopia, accende una stella nel cielo della dignità umana ma ci costringe a navigare in un mare senza porti”.
Frontierenews settembre 2016
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