Il Tramonto dei figli del Vento

IL TRAMONTO DEI FIGLI DEL VENTO
Se vuoi essere saggio, ascolta
(Proverbio Rom)

Si sa che le parole di un popolo dipendono dal tipo di vita che conduce, e così gli Inuit hanno moltissimi termini per riferirsi alla neve. Non diversamente i Rom e i Sinti hanno decine di modi per definire la polizia, che fa parte della loro esistenza quotidiana e come la neve eschimese copre in un manto continuo il tempo delle loro vite. I Sinti ed i Rom sono presenti in Italia almeno dal 1422, quando per la prima volta compaiono in un documento del Comune di Bologna, e da allora la loro esistenza è stata resa difficile dal rapporto spesso conflittuale con le nostre istituzioni e noi gagè, ovvero noi non-zingari. Il nome con cui più frequentemente vengono chiamati è appunto quello di zingari (o tzigani, cingani, termini che derivano tutti dal greco athingaioi, “intoccabili”), che porta ormai con sé un aurea offensiva e negativa. Rom o Roma (essere umano, uomo) e Sinti sono invece i termini che queste comunità, varie e diversificate tra di loro in gruppi e sottogruppi, usano per definirsi.
Grazie ad un’analisi scientifica e priva di pregiudizi della lingua dei Rom si è giunti a ritenere che essi provengano dall’India. A partire probabilmente dal X secolo d.C., attraversando l’Asia nel corso dei secoli, i Rom sarebbero giunti in Europa intorno al XIV secolo e da qui in seguito si sono diffusi in tutto il resto del mondo, America Latina, Australia e Stati Uniti.
All’inizio in Europa i Rom sono stati accettati, come nel caso del re Sigismodo di Boemia che concesse loro un salvacondotto (una specie di attuale permesso di soggiorno) con il quale alcuni si recarono in Francia (da cui il termine Bohemien, cioè “chi viene dalla Boemia”); ma il tempo e la loro diversità li portò ad essere considerati sempre più come un corpo ostile nelle nostre società, degli stranieri buoni spesso come capri espiatori e come vittime di pregiudizi e leggende negative. Già pochi anni dopo, nel 1500, l’Imperatore Massimiliano I decreta che “bruciare o uccidere uno zingaro” non è un crimine. Anche in Italia in breve tempo i Rom vennero privati dei loro più elementari diritti. A Bologna, durante la peste del 1630, un bando rifiutava ai Rom malati l’accesso al lazzaretto. A Milano, nel 1663, un decreto lasciava impunito “l’assassinio di zingari e la sottrazione di beni personali” dai loro cadaveri. L’ostilità nei loro confronti si può ritrovare nell’idea antica dello “sporco zingaro” e nel fatto che il colera, addirittura fino al secolo scorso, fosse chiamato anche “lo zingaro”, e si pensasse che fosse trasmesso proprio dai Rom. La discriminazione divenne nel corso del tempo sempre più sistematica in Italia ed altrove, fino a giungere ai lavori “scientifici” di Lombroso e Capobianco. Zingari ladri e ingannatori dunque, portatori di malattie e rapitori di bambini. Si credeva inoltre che i Rom fossero stati i fabbri che forgiarono i chiodi con cui fu crocefisso Cristo. Pericolosi per i bambini e coinvolti nella morte e sofferenza di Gesù, saltano subito agli occhi le somiglianze con i pregiudizi contro gli ebrei, anche loro esclusi e stranieri nei nostri paesi. Le strade vagabonde e parallele di queste due comunità si incontrarono infine nei campi di concentramento nazisti, dove subirono il tentativo di sterminio folle e lucido da parte di un ideologia con la quale anche l’Italia fascista era collusa. Ma anche qui, dopo i campi di concentramento, ancora adesso manca un riconoscimento ufficiale dell’etnocidio subito, con i relativi risarcimenti. In Italia similmente mancano ricerche approfondite sul trattamento dei Rom durante la seconda guerra mondiale. Si sa dell’esistenza di almeno tre campi di concentramento in cui vennero rinchiusi a migliaia. I provvedimenti di espulsione oltre i confini erano frequenti, e ciò spesso significava per loro finire nelle mani dei tedeschi. È importante ricordare come molti Rom parteciparono alla resistenza partigiana italiana, soprattutto nelle fila della Brigata Osoppo, e aiutarono il nostro paese a conquistare la libertà. Nel bene e nel male i Rom rimangono sempre ai margini della storia, e così sia l’olocausto subito sia la loro partecipazione alla lotta di liberazione sono fatti poco conosciuti ed ignorati dai più, mentre è facilissimo venire a sapere, dalle pagine dei giornali, di qualsiasi seppur minimo reato essi commettano.
I Rom sono giunti dai Balcani (ex-Jugoslavia e Romania principalmente) soprattutto nella seconda metà del ‘900. La prima ondata è avvenuta negli anni del boom economico, la seconda in concomitanza con la guerra in Jugoslavia negli anni ’90. Si racconta che in Bosnia la gente abbia capito che la guerra era iniziata quando vide che i Rom facevano i bagagli e si mettevano in partenza, e che solo quando questi tornarono la guerra fu davvero conclusa. Un aneddoto che mostra la natura pacifica di queste genti, definite anche “Figli del vento”.
I due gruppi maggiori, Sinti e Rom, si suddividono poi in sottogruppi, che prendono il loro nome dal luogo di residenza o provenienza, dall’occupazione tradizionale svolta o dalla religione. Per cui ci sono i Sinti piemontesi o abruzzesi, i Rom Khalderasha (perchè erano calderai e lavoratori del rame e del ferro) o i Rom Xoraxanè (letteralmente “turchi”, perchè musulmani e non cristiani come gli altri rom dei Balcani).
A loro volta questi gruppi si suddividono in lignaggi (vica) e clan (nacija). La Kumpania infine è la comunità provvisoria, non per forza collegata da legami di parentela, formata dalle persone che si trovano a vivere insieme in un campo.
La cultura dei Rom è profondamente in crisi. Sono diversi i fattori che concorrono al tramonto delle comunità, e di certo il principale è la fine dei vecchi mestieri, che permettevano ai Rom di integrarsi nella cultura contadina e pre-industriale italiana grazie alle loro abilità artigianali e alla loro mobilità. I Sinti sono spesso ancora giostrai e mantengono in parte la loro occupazione tradizionale. Per il resto delle comunità è in atto un processo di frammentazione e atomizzazione che rende quasi impossibile mantenere il vecchio modo di vita e le proprie tradizioni. Il nomadismo, che ha caratterizzato da sempre i Rom, è sempre più difficile da praticare a causa di diversi fattori. Uno è la scomparsa dei vecchi mezzi di trasporto, quali carri e baracconi. I nuovi mezzi (roulotte e automobili) sono costosi e richiedono spese e attenzione continue. Il divieto di sostare al di fuori delle aree riservate dai comuni è un ulteriore ostacolo alla mobilità. Ciò comporta la crescente difficoltà a mantenere i contatti tra i membri dello stesso clan e lignaggio e quindi un allentamento delle antiche solidarietà. Sempre più la famiglia nucleare diventa il vero punto di riferimento, con tutte le difficoltà inerenti all’allentamento dell’unità di gruppo di fronte ad una società che tutela pochissimo i Rom. Non avendo quasi mai il permesso di soggiorno, i Rom praticano lavori al nero spesso faticosi e poco redditizi (manovalanza, lavori agricoli stagionali) e sono inseriti in circuiti di microcriminalità che aumentano il sospetto e l’intolleranza nei loro confronti, in un circolo vizioso che è difficile da interrompere. Spesso, soprattutto i Rom Xoroxanè, tra i più tradizionali, sono venditori ambulanti di beni di contrabbando. In Jugoslavia si dice “se vuoi sapere cosa mancherà in futuro, guarda cosa vendono gli zingari”.
Il mondo dei Rom e dei Sinti è un mondo che si sta estinguendo, e uno dei pochi momenti in cui la comunità si ritrova e rinsalda i vecchi legami e le vecchie tradizioni è il matrimonio, folle festa che può raccogliere centinaia di persone per celebrare un rito che, oltre a segnare un punto di svolta nella vita degli sposi, unisce due famiglie intere in un legame stretto e importante.
Muovendosi tra le strette maglie della storia, tra i confini netti degli Stati nazionali europei, i Rom per la maggior parte vivono ancora al di fuori della cittadinanza. Il rapporto dell’European Roma Rights Center (ERRC) del 2000 parla di continui abusi perpetrati ai danni dei Rom da parte delle forze di polizia, delle autorità giudiziarie e dei cittadini italiani. Costretti a vivere in campi, a volte legali altre abusivi, nelle periferie delle grandi città, i Rom sono vittime del sabotaggio minuzioso e ininterrotto delle loro esistenze, della violazione sistematica dei loro diritti, della totale mancanza di attenzione e consapevolezza per la loro situazione da parte delle istituzioni. Molti Rom in Italia hanno riferito all’ERRC che i pestaggi sono qualcosa che mettono in conto nei loro rapporti con la polizia. D.P, una Rom che vive a Pisa, ha detto semplicemente “la vita è così”. È più facile ora capire perchè i Rom abbiano così tanti termini per dire “polizia”.
Il pregiudizio ed il razzismo nei loro confronti è poi largamente diffuso tra i cittadini italiani, e sono vari gli episodi di intolleranza e anche di violenza ai loro danni.
In questo momento i Rom e i Sinti attraversano difficoltà enormi a veder riconosciuti i propri diritti e a mantenere il proprio modo di vita. Per questo è importante che tutti inizino a guardare a queste comunità con occhi diversi, che permettano di cogliere la realtà al di là dei pregiudizi. Il proverbio Rom recita “se vuoi essere saggio, ascolta”. In questo caso potremmo leggerlo “se vuoi essere saggio, osserva”, perchè in queste foto di Stefano Pacini, che da anni segue con passione queste realtà in giro per l’ Italia e l’Europa, in cui viene mostrata la vita dei Rom, esiste già il primo passo verso una comprensione maggiore della loro esistenza e umanità, e il superamento dei conflitti e delle ostilità che coinvolgono loro e noi gagè. Sarebbe un passo ulteriore vedere adeguatamente pubblicato il lavoro di Stefano. Se vogliamo essere saggi, se vogliamo che due comunità possano convivere con pieni diritti e comprensione reciproca, dobbiamo innanzitutto imparare ad ascoltare e ad osservare. Essere saggi è conoscere i problemi: solo allora saremo in grado di trovare le soluzioni.
Tommaso Sbriccoli Antropologo dell’Università degli studi di Siena
Gennaio 2006