Corrado Banchi, il fotografo sconosciuto più famoso al mondo

Vita e miracoli del fotografo della rovesciata dell’album Panini, che ha raccontato il Novecento italiano con il garbo discreto dei più grandi

di Stefano Pacini



Correva l’anno 1950. Il 15 gennaio allo stadio di Firenze si svolgeva la partita Fiorentina-Juventus. La rovesciata di Parola, immortalata in milioni di copie e divenuta famosa come logo delle figurine più diffuse al mondo, le Panini, l’ha fotografata lui, durante questa partita tutt’altro che memorabile, finita 0 a 0.
Nella foto il giocatore si libra in cielo, su, oltre le gradinate, una prospettiva unica. Sì, perchè il Banchi, narra la leggenda, si era accucciato per una furtiva pipì, in una trincea dello stadio ma non si era fatto sfuggire la foto della vita. Stampata in tutti i modi e in tutti i continenti per decenni in 300 milioni di copie senza che Corrado ci facesse una lira avendo venduto come al solito, per 3000 lire, il suo servizio domenicale allo stadio a un quotidiano fiorentino.
Che Corrado Banchi era nato a Firenze nel 1912, e diventato fotografo  in Maremma, dov’era andato a fare il servizio militare. Su un treno conobbe una ragazza di Follonica. Si sposarono durante la guerra e si stabilirono a Massa Marittima, dove aprì un negozio di fotografia. Fotografò una terra ancora intatta, non cementata, di una bellezza selvaggia unica. Non perse mai una occasione: incontrò Bartali militare e lo fotografò, poi il rullo andò a finire in uno dei suoi tanti scatoloni per riemergere 50 anni dopo.

Geniale, estroverso, intuitivo, riprese con alcuni rullini l’ingresso a Massa Marittima dei soldati americani della 5a Armata, il 24 giugno 1944. E poi i funerali di Norma Parenti, medaglia d’oro della Resistenza massetana, la strage nazifascista dei minatori di Niccioleta e , dieci anni più tardi, quella dei minatori di Ribolla, evento che fece decidere Luciano Bianciardi a lasciare la Maremma. Nel ’48 fece un reportage sul bandito Cucchiara, scovandolo nelle macchie dell’Alta Maremma, durante il primo sequestro di persona di un possidente del dopoguerra.
Un innovatore, uno che faceva fotografia con le gambe, muovendosi sempre. Al punto che per regalare il movimento alle sue istantanee, divenne il primo cineoperatore mobile d’Italia. Per alcuni anni  lavorò come cineoperatore della Settimana Incom, al seguito del Giro d’Italia, sul sellino posteriore di una motocicletta. Corrado girava i momenti migliori delle tappe impugnando una Arriflex 35 millimetri. E nel ’55 lavorò anche come cameraman per il regista massetano Umberto Lenzi, nel documentario sulla dura vita dei minatori “Dalle tenebre al mare”. Ma non disdegnava momenti più leggeri: fotografò una giovanissima Sofia Loren a Salsomaggiore per il concorso di miss Italia e, negli anni ’60, il bel mondo di Punta Ala durante le vacanze estive, immortalando anche i concerti di Gaber, Mina, Battisti e molti altri.
Ho un ricordo curioso di lui: nei primi anni ’70, aspirante fotografo impegnato di belle speranze andavo dal Banchi a stampare i miei primi rullini in bianco e nero. Corrado, senza che lo avessi chiesto, me li esaminava foto per foto, commentando ad alta voce pregi e difetti, dopo di che una buona metà finivano nel suo cestino. Ovvio che imparassi in fretta a fare foto decenti! Tanti anni dopo ho usato il suo metodo nei corsi di fotografia che tengo alla Corte dei Miracoli a Siena, con immutato successo. Corrado Banchi ha fotografato sino all’ultimo giorno, nel 1999, con intatto  entusiasmo, e tale era la leggenda che lo avvolgeva in Toscana che si sparse persino la voce che si fosse fatto seppellire con le sue macchine fotografiche.

Ha attraversato tutto il ‘900 da gigante senza avere mai la fama che avrebbe meritato, ma senza per questo provarne dispiacere. Qualche anno fa mi ha fatto l’ultima sorpresa: stavo scansionando per il comune una piccola parte del suo enorme archivio, quando mi ha attratto la foto tessera B/N di un bimbo di otto anni, scattata nel gennaio ’65.In mezzo a decine di altre fototessere che raccontano un Paese che non c’è più ho ritrovato il mio sguardo di mezzo secolo fa.
pubblicato da Frontiere News il 10 gennaio 2016