Qui són els indignats? Prima, dopo e oltre il 15-M delle piazze spagnole

di Emiliano Pacini


8 giugno 2011
A Barcellona, come nel resto della Penisola Iberica, il 15 maggio ha segnato l’inizio di un nuovo movimento di base, eterogeneo e apartitico. Sia la forza che la debolezza di questo nuovo soggetto politico che irrompe sulla scena pubblica sono legate alla sua difficile classificabilità.
Proviamo ad andare con ordine per cercare di capire meglio che cosa il 15 maggio (da qui in avanti 15-M) abbia cambiato nell’asfittico panorama socio-economico iberico ed europeo.
Prima del 15-M
Un’altra campagna elettorale si avvicinava alla fine; i due partiti principali, il post franchista PP ed il social-riformista PSOE, provavano ad accaparrarsi fino all’ultimo voto in vista delle elezioni comunali e provinciali.
Il PP, da 7 anni all’opposizione in parlamento, aveva il gioco più facile e sfruttava la disastrosa crisi economica mondiale come esempio delle nefandezze del PSOE in tutti gli anni di “giogo socialista” che la Spagna aveva dovuto subire. Nei quartieri generali del PSOE si analizzavano invece nervosamente le statistiche con le intenzioni di voto che presagivano una sconfitta epocale per il socialismo spagnolo.
Principale catalizzatore dell’astio nazionale è Jose Luis Rodriguez Zapatero: quello che un tempo è stato un eroe della sinistra italiana (chi si ricorda Viva Zapatero della Guzzanti?) è diventato nel giro di 2 anni e mezzo il premier spagnolo più impopolare di tutti i tempi. Forse solo Aznar del dopo-bombe di Madrid ha raggiunto un indice di popolarità più bassa di lui; ZP, come lo chiamano da queste parti, ha applicato alla lettera tutte le indicazioni del FMI e dell’Unione Europea, tagliando aiuti e fondi per la disoccupazione, peggiorando le prestazioni essenziali come sanità e educazione e lasciando in pace solo il fondo stanziato per le spese militari.
Non è quindi sorprendente che in tutta la Spagna i socialisti si siano messi a far campagna elettorale nascondendo il capo, presentando gli uomini di terza e quarta fila, i volti meno noti insomma; i candidati locali si dichiaravano tutti figli del popolo di Barcellona, Huesca o Puerto Hurraco e non vecchi baroni socialisti calati da Madrid a raccattare voti.
Insomma, il PSOE si avviava a incassare una sconfitta storica.
Contemporaneamente alla campagna elettorale ufficiale, altri collettivi facevano sentire la loro voce attraverso la piattaforma più rapida e capillare: Internet.
Il misconosciuto movimento “Democracia Real Ya!” convocava attraverso Facebook e Twitter una manifestazione apartitica e asindacale per domenica 15 Maggio. Le ragioni della convocazione erano molto generiche e condivisibili dalla stragrande maggioranza della popolazione iberica: lotta alla corruzione politica, fine del sistema bipartitico, basta soldi pubblici alle banche, basta disoccupazione. Fino al 15 nessun media ufficiale ha preso in considerazione quello che sarebbe diventato un vero e proprio tsunami sociale; senza partiti né sindacati di mezzo non c’era molto appeal per i notiziari della sera, impegnati a coprire la campagna elettorale.
Quasi nessuno, tantomeno gli organizzatori stessi di “Democracia Real Ya!”, si aspettavano quello che sarebbe successo di lì a poco.
Il 15-M
Domenica 15 Maggio è una bella giornata in quasi tutta la Spagna, uno di quei giorni primaverili in cui non fa troppo caldo, si può già fare il bagno e si può consumare birra e tapas all’aperto senza prendere fresco.
Di passaggio nel centro di Barcellona e sulla strada di casa, mi ricordo della manifestazione di cui avevo letto alcuni giorni prima sulla rivista di satira e fumetti “El Jueves”, l’equivalente spagnolo del “Vernacoliere” di Livorno. Con Agnese ci siamo messi a cercare il corteo e lo abbiamo trovato in Piazza Catalunya che ancora doveva partire. Grande colpo d’occhio, tanta gente, colore giallo predominante come simbolo di protesta, centinaia di cartelli e striscioni ma nessun simbolo di partito o sindacato. Ci siamo trovati vicino al furgone dell’organizzazione, alla testa del corteo mentre veniva letto il manifesto della piattaforma “Democracia Real Ya!”: il miscuglio già descritto di buoni propositi e indignazione di chi non ne può più e si è finalmente reso conto di essere sfruttato da questa società.
Già allora alcune contraddizioni balzavano agli occhi ma non abbastanza per offuscare la legittima ondata di entusiasmo nel vedere quindicimila persone autoconvocatesi in strada; quello che fino al giorno prima sembrava impossibile, cioè il passaggio dai forum di internet alle strade, stava avvenendo lì, in diretta, davanti ai nostri occhi.
Quello che è successo quel giorno è già storia o addirittura mitologia per una parte del movimento: la decisione di occupare la Puerta del Sol a Madrid, le cariche e lo sgombero, la rioccupazione di Sol e di circa altre centosessanta piazze in tutta la Spagna.
A Barcellona gli “Indignados” hanno marciato sulla Piazza Catalunya in centocinquanta circa e hanno deciso di accamparsi fino alle elezioni del 22 maggio.
Di lì a poche ore sarebbero stati ribattezzati “acampados” dalla stampa main stream che cominciava a capire che si stava mettendo in moto qualcosa di grosso, qualcosa che era stato volutamente ignorato fino a quel momento ma che dal giorno dopo non sarebbe più stato possibile ignorare.
Dopo il 15-M
La cosa sorprendente di questo movimento è la quantità di solidarietà attiva che ha saputo convogliare su di sé da molti lati della società. Ciò è dovuto al fatto che questo movimento è composto da una massa eterogenea difficilmente catalogabile di individui: studenti, disoccupati, vecchi attivisti politici, punkabbestia, pacifisti, anarchici, religiosi e spirituali.
Tutte queste persone, colpite in maniera più o meno diretta dai tagli al sociale dello stato e dalla crisi economica, si sono ritrovate nello stesso sacco: utili idioti in mano a banche e politici che devono votare ogni quattro anni e poi zittirsi.
Da tempo mi chiedevo come fosse possibile che, in un paese che non cresce, con il 20% di disoccupazione (il 40% tra i giovani) e lo spettro della povertà diffusa sempre più incombente, la gente non si rivoltasse e scendesse nelle strade. Ora che questo è successo, dopo tanti anni di passività alimentata da calcio e soldi a rate, televisori al plasma e macchina nuova con gli incentivi statali, molte domande hanno avuto una loro risposta.
Eppure non è tutto oro quel che luccica.
Chi c’è dietro il 15-M?
All’indomani della creazione delle “acampadas” in tutta la Spagna, un settore del marxismo-leninismo iberico ha cominciato a far circolare voci (letteralmente) sinistre sulla piattaforma “Democracia Real Ya!”; secondo questi ultimi, i finanziatori occulti di questo movimento sono un gruppo di partitini alla sinistra del PSOE che, fiutato il gramo vento delle elezioni imminenti, hanno ben pensato di creare un movimento borghese di piazza col fine di strumentalizzarlo, per poi spuntar fuori al momento giusto e farsi interpreti parlamentari del malcontento pubblico.
Nella maggior parte dei casi questi commenti sono stati dettati da invidia personale e rabbia che i “rivoluzionari di professione” provavano nel vedere qualche giovane sbarbatello riuscire laddove loro hanno sempre fallito. Eppure, c’è un fondo di verità sotto alle più becere teorie del complotto messe in giro: ad oggi non è chiaro dove sono stati raccolti i fondi per mettere in moto questo movimento e come faceva notare qualcuno, furgoni, impianto hi-fi e cartelloni bicromatici plastificati sono tutti costi oggettivamente non indifferenti per una piattaforma popolare appena nata dal nulla.
Ad ogni modo, non credo che sia sano voler sempre vedere complotti, anche dove non ce ne sono; è probabile che il movimento 15-M sia nato sull’impulso di alcuni collettivi specifici legati a partitini di sinistra (qualcuno ricorda Rifondazione Comunista ed il “Partito di Lotta e di Governo” inventato da Bertinotti? ecco, siamo lì) vogliosi di farsi spazio e raccogliere il voto degli arrabbiati.
Se questo era il loro intento, hanno fallito.
Il 22 maggio
Le elezioni del 22 maggio, ad una settimana esatta dall’inizio delle acampadas, hanno spazzato via il socialismo alla spagnola ed in generale hanno premiato partiti di destra e/o portatori di messaggi conservatori e xenofobi. Il PP ha vinto ovunque, Barcellona è caduta in mano a Convergencia i Uniò (CiU, nazionalisti catalani di stampo democristiano) dopo trentadue anni di sindaci socialisti e la mappa di tutta la Spagna si colora di azzurro “popular”.
Tutta?
No, come in Asterix, c’è una piccola parte del paese che rimane rossa.
Vai a vedere e ti accorgi che si chiama Euskadi e che la sinistra indipendentista basca ha preso il 25% dopo dodici anni che lo Stato rendeva illegale qualsiasi partito del genere in questa regione (per la cronaca è risultato primo partito il PNV, nazionalisti-democristiani baschi, col 27%).
Nel corso dell’ultimo decennio, prima la destra con Aznar e in seguito i socialisti con Zapatero, hanno provato a chiudere la “crisi basca” attraverso la tecnica del (tanto) bastone e della (poca)carota. Il bastone: illegalizzare qualsiasi partito si dichiari indipendentista e sia sospettabile di connivenza con ETA. Il principale esecutore delle illegalizzazioni è stato il giudice Garzon, famoso da noi in Italia per aver processato Pinochet; prima vittima di questo processo, il partito Herri Batasuna (Avanti Popolo, in basco), considerato l’ala politica di ETA e principale interlocutore dello stato nel corso di ogni trattativa avvenuta con ETA fino ad oggi. La carota: favorire il terreno a tutte le formazioni politiche che ripudino il terrorismo e la violenza come parte del discorso politico generale e che non siano fattivamente indipendentiste in particolare; in questa maniera il Partito Socialista Basco è riuscito per la prima volta nella sua storia a conquistare lo scranno di Lehendakari (Governatore) nelle passate amministrative.
Nonostante la decadenza militare di ETA sia chiara e irreversibile non c’è però stata una volontà chiara di Madrid di voler chiudere in maniera politica il conflitto basco, come fatto ad esempio in Irlanda del Nord: alla pregiudiziale della condanna di ETA e al rifiuto della violenza per chi volesse fare politica in Euskadi, sono state via via aggiunte sempre nuove clausole e postille per sabotare la svolta pacifica indipendentista. Clausole che nessuno si è mai sognato di imporre al PP, partito erede del franchismo e pieno di fascisti e speculatori arricchitisi ai tempi di Franco.
La novità di queste elezioni amministrative è stata la legalizzazione della lista Bildu, prima formazione dichiaratamente indipendentista e socialista che abbia avuto la possibilità di presentarsi alle urne in dodici anni.
Alle urne i baschi hanno dimostrato in massa che la tolleranza zero verso chiunque non si cali le brache davanti a Madrid non paga; l’avviso è chiaro: ETA è finita ma adesso c’è da rispondere al voto popolare.
Il 27 maggio
Finite le elezioni, finita la copertura mediatica positiva delle “acampadas”.
Pochi giorni prima si potevano ascoltare cronache di amabili panettieri che regalavano viveri ai giovani rivoluzionari; ebbene, dall’alba alla notte quegli stessi giovani rivoluzionari sono diventati barboni incivili che danneggiano gli esercenti del centro di Madrid o Barcellona.
Com’è avvenuto questo cambiamento?
Mentre prima del voto tutti i partiti hanno cercato di accattivarsi le simpatie degli indignati col ritornello della “comprensibile rabbia”, a urne chiuse hanno richiamato all’ordine i pennivendoli di regime incitandoli a dar contro agli indignati.
Tutto il processo di discredito e repressione è cominciato il 23 Maggio e ha avuto come apice (per ora) il tentato sgombero di Piazza Catalunya.
Le immagini delle manganellate dei Mossos D’Esquadra (polizia autonoma catalana) su manifestanti inermi hanno fatto il giro del mondo e hanno supposto una “vittoria tattica” degli acampados che hanno incassato un sostegno enorme da parte della società civile e hanno prolungato la spinta popolare che ha sostenuto fino ad oggi il movimento 15-M.
Conclusioni sull’acampadaBCN
L’argomento del pacifismo integralista sta spaccando l’unità delle assemblee: secondo molte testimonianze una minoranza di stampo borghese sta imponendo al resto degli acampados la linea della non violenza passiva come unico mezzo di azione rivendicativo. La stessa minoranza che impone la linea sulla non violenza ha inoltre gettato la maschera proprio nel giro di queste ore, operando con tutte le sue forze affinché il resto dell’assemblea votasse a favore della mozione di sgombero della piazza durante la notte.
Quello che sembra premere molto a questi “figuri”, spuntati solo adesso in piazza da quando le proteste sono cominciate, è la cessazione dell’acampada durante la notte in favore di una ricollocazione strategica nei quartieri. Gli stessi assicurano che le attività diurne continueranno normalmente a tempo indefinito (o fino alla fine della stagione estiva, aggiungono i detrattori di questo gruppo). Per assicurarsi di avere in mano il consenso della piazza questi riformisti hanno sabotato la stessa Commissione Comunicazione; prima rendendogli impossibile l’accesso allo script del sito dell’acampada e poi pubblicando in proprio la proposta di “ricollocazione” ancora da sottoporre a dibattito come se già fosse una risoluzione effettiva.
Insomma, qualcuno sta spendendo molte più energie per controllare militarmente l’acampada che per trovare nuovi sbocchi alla protesta; questo gruppo è una minoranza ma ha già commesso una serie di madornali errori strategici, cercando di mantenere l’area della protesta tutto sommato circoscritta e utilizzando come scudi umani i manifestanti più ingenui e idealisti che infatti hanno assolto al loro compito assorbendo le manganellate della polizia a scopo mediatico.
Per fortuna il resto degli accampati ha ancora tanta voglia di lottare e anzi rilancia con un acampada davanti al Parlamento Catalano il 14 e 15 giugno e la simbolica “chiusura del parlamento” da imporre pacificamente ai politici catalani, colpevoli di aver portato a capo una serie di tagli pesantissimi (retalladas, in catalano) alla sanità, educazione e assistenza sociale.
Per il 19 Giugno è stata convocata una manifestazione di massa che dovrà partire, ancora una volta, da Piazza Catalunya. Giugno sarà un mese decisivo per il movimento degli indignati catalani; con un occhio a Madrid, si svolgerà probabilmente la resa dei conti definitiva tra chi sta cercando di manipolare in chiave borghese e riformista questa protesta e chi invece vuol portare questa #spanishrevolution da Twitter alle strade, ai posti di lavoro, alle banche, ovunque.
Uno dei mille cartelli innalzati in Piazza Catalunya riporta queste parole che Capo Tupac Katari pronunciò prima di essere ucciso dagli Spagnoli: “Volverè y seré millones”. Tornerò e saremo milioni.