Il passato che non passa, Franco Serantini
“Il funerale di Franco Serantini, martedi 9 maggio 1972: un misto di sfacelo e di orgoglio, di tensione e di consapevolezza che ancora una volta è finita, per uno, forse per tutti. Ci sono i ragazzi delle manifestazioni, delle marce, dei sit-in, della protesta, con i giubbotti, i blue jeans, le barbe, i berretti cinesi, ci sono gli anarchici di tutta la Toscana, alcuni, i più anziani, con i cravattoni neri, ci sono il sindaco, i deputati della sinistra, i sindacalisti, i comunisti, i socialisti. Una ragazza assorta, che cammina proprio davanti alla bara, tiene con le due mani un mazzo di gladioli rossi. I netturbini reggono la loro corona, un’altra corona la portano i ragazzi del riformatorio.
La corona della giunta comunale è di calle bianche tenuta alta dai vigili urbani. I detenuti del Don Bosco hanno inviato delle margherite, dalla massa di teste spuntano cuscini di viole, di rose, di garofani. Quelli di Lotta Continua sono venuti da piazza S. Silvestro marciando in migliaia attraverso mezza città, in corteo dietro un enorme striscione rosso, teso a pochi centimetri da terra: -Franco rivoluzionario anarchico assassinato dalla ‘giustizia’ borghese-. Il funerale si muove dall’obitorio davanti all’orto botanico in via Roma. Serantini è rimasto molte ore nudo, il suo vestito era stato sequestrato per la perizia e lui non ne possedeva un altro. Poi è arrivato un compagno con una giacca, un paio di pantaloni ed una rosa rossa da mettergli sul petto. La città è partecipe, dolente, il popolo porta fiori, le donne sostituiscono la madre ignota e piangono il figlio di nessuno. Le saracinesche dei negozi sono abbassate, molti portoni sono chiusi. Marciano nel corteo migliaia e migliaia di persone. Tra loro anche quelli che Franco salutava ogni giorno, su e giù per corso Italia e il Borgo Stretto e che ora si sono ricordati di quel ragazzo col motorino blu. Pianto da un’intera città come un eroe caduto, il funerale è l’unico dono che abbia avuto dagli uomini”
Ma nessun magistrato gli rese giustizia, nessuno pagò per la sua morte, a meno che non si consideri giustizia l’attentato che colpì il medico del carcere alcuni anni dopo, come di lì a poco sarebbe stato colpito Calabresi per il “volo” di Pinelli. Serantini fu tra i primi di una lunghissima scia di assassinati in manifestazioni di piazza o in agguati fascisti, rimasti senza un giusto processo, senza possibilità di una verità storica ufficiale, senza possibilità di pace neppure a distanza di diversi decenni. Se Franco si potesse risvegliare troverebbe ancora un apparato statale sclerotizzato, un sistema di appalti corrotti e delle mafie tracotanti, un governo che agita lo spauracchio del pericolo anarchico, che minaccia l’uso dell’esercito, che non vuole trovare i colpevoli delle stragi di Piazza Fontana, di Brescia, dell’Italicus, che assolve e promuove i funzionari responsabili dell’assassinio di Carlo Giuliani e della mattanza della scuola Diaz al G8 di Genova.
Il migliaio di persone che ha marciato a Pisa quarant’anni dopo raggiungendo il monumento a Serantini in Piazza S. Silvestro in buona parte era composto di giovani. Un ragazzo dell’età di Franco teneva in alto un cartello con scritto ” anche se vi credete assolti siete per sempre coinvolti “.
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