“Malamente una educazione maremmana ” recensione di Silvio Antonini
“Essere nati e vissuti in Maremma, essere anagraficamente parte della Baby boom generation, significa aver condiviso a pieno la trasformazione sociale e paesaggistica dell’Italia dal Secondo dopoguerra ad oggi. In uno spaccato antropologico insieme contadino ed industriale – estrattivo, intriso di credenze e ritualità antiche che hanno però saputo colloquiare con le forme più avanzate del pensiero culturale e politico. Tutto ciò è stato reso possibile da quella via di mezzo tra gli arcaismi pontifici e meridionali e lo sviluppismo del Nord, qual era stata la realtà del Granducato di Toscana.
Testimone e, in un certo qual modo, protagonista di questa convivenza e trasformazione è senza dubbio Stefano Erasmo Pacini, classe 1956, apprezzato fotografo, stimata penna, con all’attivo diverse pubblicazioni e collaborazioni, nonché la direzione del blog “Maremma libertaria”, che qui si cimenta in una sorta di autobiografia collettiva concentrata su Massa Marittima con la capacità, man mano, di allargarsi, poiché Si va pel mondo.
Ci sono molte immagini in questo libro privo di foto o di qualsivoglia illustrazione: la scrittura ci porta direttamente sui luoghi. Si ha l’impressione di percorrere quelle lunghe strade di campagna all’imbrunire, tra campi coltivati e selve, incontrare qualche casolare, animali d’allevamento e domestici e, magari, intravedere anche qualche presenza umana presa dalla quotidianità. Da qui si parte, dalla Maremma appena uscita dalla guerra “nuova”, con il ricordo delle decennali battaglie contadine ed operaie, dell’Antifascismo e della Resistenza, laddove è drammaticamente vivo in particolare il ricordo della Strage di Niccioleta.
Il Pacini bambino assorbe conoscenza e consapevolezza da questo ambiente, dove sono ancora palpitanti le pulsioni libertarie che hanno segnato il sovversivismo del luogo. Intanto la società si trasforma: arrivano la televisione, il jukebox etc., qui e dappertutto, a cambiare consuetudini secolari, quando non millenarie, e il processo è ancora in atto.
Smorzato il boom, arriva anche il conflitto, dapprima generazionale poi, quasi immediatamente, politico. I giovani sono attratti dalla Contestazione, tendono ad unirsi alle organizzazioni della Nuova sinistra, in ovvia polemica con gli esponenti Pci. Stefano non è da meno e, con i suoi coetanei, partecipa alla nascita di collettivi e comitati vari, si avvicina a Lotta continua.
E inevitabilmente arriva il viaggio. Il 25 aprile del 1974, in Portogallo, i giovani ufficiali democratici si sollevano per porre fine al regime salazarista: è la Rivoluzione dei garofani. Nella certezza che questo evento fosse preludio d’una rivoluzione sociale in Europa, giovani entusiasti si precipitano sul posto per vedere con i propri occhi quanto stesse accadendo. Il fermento è restituito dal film Alla Rivoluzione sulla Due cavalli, di Maurizio Sciarra (Italia_2001). Da noi si mobilita in tal senso soprattutto la Redazione di “Lotta continua”. Il Pacini va con la propria comitiva in sacco a pelo e, giunto lì, partecipa e documenta con diversi scatti, rimasti inediti sino al quarantennale della Rivoluzione, quando vengono messi in mostra, prima a Lisbona e poi in Italia.
Al ritorno, Stefano si inizia a porre il problema dell’inserimento nel mondo lavorativo, all’epoca, va detto, più facile di oggi, e l’ancestrale esigenza di dover mettere, in un modo o nell’altro, la testa a partito. All’orizzonte si inizia ad intravedere il riflusso che sarebbe arrivato qualche anno dopo, con la spirale del lottarmatismo, il diffondersi dell’eroina e la fuga nel privato, un privato, amoroso, sentimentale, che in questo racconto è comunque forte, testimoniato dalla trascrizione spesso integrale di corrispondenze riservate.
L’autore avverte il declino dalla sua Maremma: svuotamento delle campagne e deindustrializzazione nel contempo, invecchiamento della popolazione autoctona e smania smisurata per il turismo, considerato panacea di tutti i mali, risposta a tutto. Avviene per la Maremma, con un processo lento quanto inesorabile, quello che altrove passa sotto il nome di riqualificazione o, nell’accezione polemica, di gentrificazione. Presupposti non errati in astratto ma è chiaro: se si avverte la necessità di porre in vetrina un territorio, di musealizzarne la cultura, significa che questi non sono più nella vita effettiva delle persone del luogo.
In tutto ciò, Stefano, che intanto ha fatto mille lavori ed avuto mille esperienze, è rimasto quello di un tempo. Non un congelamento di sé, che al cospetto del mutare della realtà e delle mille cose della vita potrebbe anche risultare patetico e patologico, ma una conservazione dello spirito, dell’angolazione da cui guardare i fatti e prendere posizione in luce del proprio vissuto.
A pag. 264 dice, infatti, di sé: “Navigo verso quell’isola che va costruita con le narrazioni, immaginazione, utopie e sogni, ma anche consapevole degli incubi che hanno reso travagliato il nostro viaggio, la nostra storia. Questo sono, questo fotografo”.
Silvio Antonini