Maremma Libertaria 9


 

 
Sommario : con i piedi tra le nuvole – per una etica dei desideri libertari- riprendiamoci la terra-  gente di marmo e d’anarchia- Sole e Baleno – speciale libri, film, foto,musica !-
 
 
 
 
Con i piedi fortemente appoggiati alle nuvole
Quando la tempesta è in atto c’è chi va avanti con coraggio e passione, sostenuto dalla forza delle proprie idee. Davanti a sé prospetta un mondo senza sfruttati né sfruttatori, senza gabbie fisiche né morali, e questa libertà non la auspica solo per sé ma anche per tutti coloro che, con gli occhi aperti e i piedi ben saldi, si rendono conto della schiavitù quotidiana che li attanaglia. Sono gli anarchici, spesso denigrati e imprigionati; desiderano qui ed ora l’utopia di una vita degna di essere vissuta.

Questa è la pericolosità che li contraddistingue, per la quale vengono perseguiti dallo Stato e tacciati di terrorismo. Indomiti, non sono disposti ad annichilire se stessi e le proprie menti davanti al consumo della merce o a vivere una realtà virtuale davanti ad un computer. Si ostinano a comunicare, a scrivere e ad incontrarsi, a rivoltarsi contro ciò che ritengono intollerabile: una devastazione ambientale, una fabbrica di morte, il lavoro alienante, una galera.
Negli ultimi mesi le operazioni repressive dello Stato contro anarchici e ribelli sono state innumerevoli. Le più recenti sono state mosse all’ombra del famigerato 270bis, “associazione sovversiva con finalità di eversione dell’ordine democratico”. Articolo che permette di rinchiudere per un po’ di tempo gli indesiderati dal Potere. Articolo usato in tre diverse operazioni giudiziarie: l’operazione “Ardire”, l’operazione “Mangiafuoco”, fino all’ultima operazione nei confronti di compagni trentini. Gli arrestati ad oggi sono dodici, decine i compagni inquisiti e perquisiti. A ciò va aggiunta la repressione nei confronti di alcuni notav che si battono contro la devastazione ambientale in ValSusa e la condanna definitiva di alcuni compagni, a pene pesantissime, per i fatti di Genova del 2001. Un tentativo da parte dello Stato di decimare coloro che soffiano sul fuoco della ribellione. Un monito per tutti coloro che vogliono alzare la testa. Una dimostrazione di forza del Dominio, costantemente in guerra, che considera nemici tutti coloro che si oppongono ai suoi piani di sfruttamento e accumulazione.
Cosa resta da fare allora? Resta la voglia di abbattere questo esistente mortifero e iniquo. Resta la determinazione di chi lotta per spezzare la catena della normalità che stringe la vita di tutti quanti. Restano le idee, detonatore da innescare contro il totalitarismo del pensiero unico. Restano le lotte, da portare ancora avanti, ognuno con i mezzi che ritiene più congeniali. Resta la solidarietà verso i compagni e tutti i ribelli.
Liberi tutti.
Anarchici  (manifesto circolante in rete in questi giorni bui)
 
 Dalle macchie dell’alta maremma fino a Madrid e Atene,
Che se ne vadano tutti ! Autorganizzazione, autogestione, anarchia !
solleviamoci !
http://youtu.be/B1T8xgHdMEM     wake up ! Rage against the Machine

 
 
 
 
tra Braccagni e Roselle….
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
http://femminismo-a-sud.noblogs.org/
Femminismo al sud !
Per una etica amatoria del desiderio libertario e degli affetti liberi e allegri
Pubblichiamo con grande piacere questa intervista a Leo Vidal che Lalli da Buenos Aires ha voluto condividere sul nostro blog.
Un grazie enorme per presentarci Ludditas Sexxxuales e per far arrivare dall’America Latina nuovi stimoli per liberare i nostri “affetti” in un’ottica di sabotaggio dell’eteronormatività imposta e, ovviamente, anticapitalista.
Per l’occasione inauguriamo la categoria Affetti liberi.
Buona lettura!
Buenos Aires. E’ in cantiere la pubblicazione del libro ad opera del collettivo Ludditas SexxxualesEtica amatoria del desiderio libertario e degli affetti liberi e allegri e abbiamo chiacchierato con una delle autrici, Leo Vidal – attivista anarchica e disobbediente di genere – rispetto al percorso che ha portato alla pubblicazione del libro e alle riflessioni in esso contenute. Un’etica del desiderio libertario che nasce dall’esigenza di decostruire l’invenzione dell’amore romantico (e non solo) come costruzione del sistema eterocapitalista, per proporre e praticare relazioni sesso-affettive finalizzate a costruire molteplici legami di affinità ed alleanze e, conseguentemente, ad incrementare la potenza (di agire) in ciascun* di noi.
Una piccola nota alla traduzione del termine “affetti”: questa parola é utilizzata nell’accezione spinoziana del termine, indicando quelle modificazioni del corpo o della mente che ne accrescono o diminuiscono la potenza, e quindi la capacitá di essere e di agire.
Ludditas Sexxuales è una piattaforma mobile in costante divenire con sede a Sudakalandia.
Leo, comincerei parlando del libro e raccontando un po’ da dove viene questo lavoro.
Il libro viene dalla riscrittura di alcune fanzine che abbiamo pubblicato in passato, lavorando sulla riattualizzazione del concetto di “amore libero”. Non crediamo nell’amore come dato “naturale” ma pensiamo sia una costruzione culturale propria della modernità, e a questa opponiamo una serie di pratiche di resistenza, per combattere quella che il collettivo francese Tiqqun definisce “la guerra in corso”, che ha a che vedere con la guerra sociale che tutt* combattiamo. L’eterocapitalismo mondiale integrato produce in serie soggettività centralizzate, con il fine di eteronormalizzare per esercitare il potere. La macchina di produzione della soggettività etero capitalista ci viene trasmessa attraverso il linguaggio, la famiglia e le altre istituzioni e si instaura a partire dalla nascita. Questo lavoro è una sorta di manuale di etica che parte da concetti propri della teoria queer e del femminismo radicale e si propone come un mezzo per prendere posizione in questa guerra in corso. Una guerra che sorge a partire da un’ideale regolatore che chiamiamo genere: il genere – femminile o maschile – costruisce i corpi – donna o uomo – che in nessun modo sono dati naturali, e da queste costruzioni derivano una sessualità (omo o eterosessuale) e conseguentemente degli affetti.
Vorrei approfondire il concetto di amore moderno che hai menzionato.
La gente pensa all’amore come un dato naturale, eccelso, che si dà fra due persone che naturalmente si scelgono e si amano. Nella nostra lingua spagnola si manifesta già il suo significante nascosto: la parola amor contiene la parola amo (= padrone), il che ci rimanda alla caratteristica depotenziante dell’amore. Per il luddismo sessuale l’amore è un despota, un grande dispositivo di cattura che impedisce, soprattutto ai corpi bio-politicamente assegnati al sesso donna, di incrementare la propria potenza. La domanda conseguente è naturalmente che cosa fare dei sentimenti, perché la gente pensa che a questo discorso corrisponda una negazione dei sentimenti legati all’affettività. In realtà è tutto il contrario: quello che come Ludditas proponiamo è la messa in pratica di un modo distinto di vivere la sessualità e le relazioni, nella prospettiva di coltivare molteplici legami di amicizia – nella lettura foucaultiana del concetto di amicizia – in cui è compresa la sperimentazione anche sessuale. Questo “modificarsi” o contaminarsi con diversi corpi aiuta a liberarsi dalle passioni tristi che depotenziano il nostro corpo (come l’amore romantico, la coppia o la famiglia), e anzi a crescere e moltiplicare la propria forza nella sperimentazione e nella costruzione del forte legame collettivo che unisce un branco affiatato.

Puoi spiegarmi il concetto di Luddismo Sessuale – da dove viene e che cos’è il simbolo che lo rappresenta, che troviamo anche nella copertina del libro?
Il luddismo fu un movimento insurrezionale inglese del 1800 al principio del capitalismo, ubicato in Inghilterra nella zona delle Midlands – la culla del tessile – quando le fabbriche cominciarono a imporsi sulle comunità di artigiani. Allora si costituì questo movimento che si rappresentava con un certo Ned Ludd, il personaggio mitologico di un bambino che ruppe il suo telaio perché non gli riusciva bene il tessuto. Intrappolata dal potere repressivo monarchico, questa gente – che iniziò a chiamarsi Ludditas –cominciò a lottare rivendicando di rispondere al Capitan Ned Ludd. Fu un movimento che presenta molte questioni interessanti, ad esempio fu il colpo di coda di quello che chiamerei organizzazioni comunitarie e corporative medievali, semplicemente perché non appoggiavano ma erano il popolo. Erano abili nell’arte del sabotaggio, nel camuffarsi, c’erano molti artisti in questo movimento, molte donne, anche travestit*; erano anche molto violenti/e: assassinavano i padroni e bruciavano le fabbriche. Rifiutavano di lavorare nelle fabbriche e non volevano soggettivarsi come operai/e, ma volevano continuare ad essere artigiani. Insomma un movimento molto interessante, orizzontale e autogestito senza centralizzazione di potere.

E’ quello che i Tiqqun chiamano “un antenato che ti rende più liber*”, una fonte d’ispirazione, alla quale abbiamo unito il concetto della sessualità. Se la sessualità è il dispositivo privilegiato nel XX e XIX secolo da cui emerge il potere, e come dice Deleuze il desiderio è la produzione della fabbrica dell’incosciente, per sconfiggere l’incosciente che produce desideri figli della soggettività eterocapitalista occorre praticare un luddismo sessuale. Abbiamo unito due cose che apparentemente non erano unite per pensare a come produrre nuovi desideri – e qui non intendiamo il desiderio come una questione repressa, o pre-cosciente, o pre-discursviva o naturale: lo intendiamo come una produzione propria e affine a un sistema che amministra l’economia a livello libidinale, non l’economia dei mezzi di produzione di cui riappropriarsi. Da qui il simbolo con il dildo che inceppa il meccanismo di produzione.
Quali sono in concreto le forme di praticare questo luddismo?
Non ci sono “buone pratiche” che ti possa dire, il luddismo di fatto lavora con intuizioni, e non sono “cose” ma “come”, sono piuttosto operazioni, funzioni. E’anche la differenza fra un’Etica e una Morale: l’Etica non propone modi trascendenti o un programma di “buona condotta”, semplicemente sperimenta a livello corporeo come far funzionare il nostro corpo in modo che si “affetti” con altri corpi, intendendo l’ “affettarsi” come sperimentazione ed incremento delle proprie potenze. L’innamoramento, la monogamia, l’eterosessualità come regime politico o le categorie di identità ontologiche e trascendenti sono tutti apparati di cattura che riaffermano il regime eterocapitalista normativo e che vogliamo decostruire mediante pratiche alternative, ad esempio le diverse forme di esistenza comunitaria, la produzione di desiderio in branco, la sperimentazione nell’uso riflessivo dei piaceri che non riguarda solamente l’ambito sessuale ma anche l’amicizia, il cibo, l’uso sperimentale delle droghe, etc. Come dice Foucault mettiamo in pratica l’uso del NO come germe di resistenza al potere, e contrapponiamo alla coppia come manifestazione di desideri individuali la produzione di desiderio collettiva, appunto, del branco.
C’è dunque una parte destituente in questo “no”, ma anche una parte costituente e propositiva, che rimanda ad esempio al concetto foucaultiano di “amicizia come forma di vita”?
In realtà sottolineo che non si tratta di due fasi distinte, in cui la seconda accada successivamente alla prima: è un lavoro che avviene parallelamente, non si tratta di distruggere il sistema per poi costruire il nuovo. Bisogna vivere oggi come vorremmo che fosse il domani, senza pensare che esista una “natura” a cui ritornare e in cui ritrovare i nostri desideri “veri” e primordiali, ma lavorando per costruire nuovi desideri che permettano la decostruzione dell’individualismo e di ciò che ci impedisce di costruire legami che ci convengano. Ciò che conviene ad un corpo è nell’accezione spinoziana ciò che gli permette di incrementare la propria potenza (o capacitá di essere ed agire). Effettivamente l’unica maniera di scoprire che cosa conviene al nostro corpo è esporlo in prima persona alla sperimentazione.
E’ giusto quello che dici parlando della Natura: in realtà molti aspetti che siamo abituati a pensare come “naturali” sono in realtà costrutti culturali e sociali – e biopolitici: come il genere, il sesso, la sessualità.
Anche gli affetti che derivano da questi costrutti sono essi stessi costruzioni; una deduzione che finora non è stata molto sviluppata. Il luddismo in realtà si occupa di riempire un ambito non discusso, non trattato anche dallo stesso femminismo radicale: tutte le eredi di Focucault, da Witting in poi, si occupano di decostruire fino alla sessualità, ma lì si fermano. In realtà è necessario decostruire anche quelle forme di relazioni che si manifestano come monogamiche, di coppia, dipendenti, tristi e debilitanti per le persone: tutto questo è un prodotto della stessa costruzione. Della costruzione umana, perché qui sta il nucleo del soggetto: quel soggetto che Foucault chiama “la sovranità sottomessa che incarna il nemico”. Il luddismo lavora nella costruzione di contro-affetti, di affinità strategiche funzionali alla lotta micropolitica nella guerra in corso.
Alla luce di queste convinzioni come vedi la situazione attuale nelle pratiche di militanza del femminismo, ad esempio in Argentina?
Sappiamo che ci sono molti femminismi, e bisognerebbe specificare di che femminismo stiamo parlando. Per me il femminismo è un’etica: un’etica per le sessualità radicali, per la decostruzione del piacere e per una vita con più potenza per quei corpi bio-politicamente assegnati al sesso donna. Suppongo che non tutt* avranno la stessa lettura del femminismo, e spesso vediamo che quando si tratta di mettere in pratica questi princípi poche sono le persone (o le compagne o le militanti) disponibili a farlo; come se aspettassimo un “domani” che verrà. A me interessano quelle forme di militanza che si impegnano nella costruzione di contro-affetti, nella riappropriazione di saperi, nella decostruzione del genere. Che il genere debba essere decostruito non significa comunque che non partiamo da questo, e che non sappiamo ben comprendere le differenze che esso ha prodotto nella bio-assegnazione politica dei corpi. Il femminismo più istituzionale, più “classico” o diffuso oggi è diventato un convento di monache con un programma ben difficile da realizzare. E’ stato un movimento che ha visto una ragion d’essere alla luce di lotte specifiche, e con le posizioni strategiche di un certo femminismo radicale degli anni ’70, ma che per ciò che è diventato oggi è necessario decostruire.

 
 
A questo punto la domanda sorge spontanea e riguarda la gestione delle gelosie nella pratica della creazione di contro-affetti.
Sono convinta che la gelosia sia un prodotto, anzi una malattia dell’eterocapitalismo, nel cui nucleo sta la proprietà privata. La condivisione, il mettere in comune le risorse – il vero significato del comunismo secondo me – non riguarda tutti e tutte. Io non cerco la condivisione con chiunque, e solo quando condivido con le persone a me politicamente affini – con le compagne, le amiche, le amanti – metto in pratica una strategia specifica contro le nevrosi prodotte dall’eterocapitalismo. Credo nella messa in comune delle risorse all’interno di uno spazio circoscritto alle affinità politiche. Credo che a causa del mettere a disposizione le proprie risorse all’interno del sistema dell’eterosessualità come regime politico le donne siano diventate prostitute gratuite, e questo è un errore da cui dobbiamo imparare. Le gelosie sono una malattia che si combatte e si cura, e che si può vincere così come si distrugge la proprietà privata, ossia non credendo in essa. Nella mia esperienza personale è molto più facile decostruire le insicurezze e le gelosie nel momento in cui mi sento a mio agio fra persone affini da questo punto di vista. E’ difficile da ottenere, ma credo che oggi siano prioritarie rispetto alla sperimentazione sessuale la sperimentazione e la costruzione etica. Questo significa che è necessaria molta prudenza: come gli spazi sociali non si aprono a chiunque, così anche nei nostri ambiti di affinità e sperimentazione non possiamo includere chi non condivida gli stessi principi.
Quali sono le prossime iniziative per presentare questa pubblicazione?
Presenteremo il libro in Argentina, Cile, Brasile e altri paesi di Sudakalandia in cui abbiamo compagn* e affini politici/che. Come ti dicevo questo lavoro é frutto di una sperimentazione collettiva, che vuole essere un punto di partenza per ragionare su questi temi. In America Latina c’é ancora molto lavoro da portare avanti rispetto alla decostruzione delle identitá fisse – sia che scegliamo di chiamarla teoria queer o in qualsiasi altra maniera. Per una questione colonialista eurocentrica si tende a guardare a che cosa scrive Beatriz Preciado sul queer, ma qua ci sono molti gruppi che lavorano nella stessa direzione in contesti che io giudico piú ostili di quello europeo: in Brasile ad esempio il collettivo brasiliano Bonnot o Ali Savage, per menzionare un paio di situazioni affini al lavoro di decostruzione di stereotipi e di sperimentazione che Ludditas Sexxxuales ha intrapreso.
Alcuni link di approfondimento:
http://luddismosexxxual.blogspot.com
http://eticaamatoriadeldeseolibertario.blogspot.com
http://luddismosexxxual.tumblr.com
http://ludditastexxxtuales.blogspot.com
http://destructorasdemaquinas.wordpress.com
Il libro si trova in pdf al link:
http://es.scribd.com/doc/104422336/Etica-amatoria-del-deseo-libertario-y-las-afectaciones-libres-y-alegres
Per contatti: destructorasdemaquinas@hecsa.com.ar
 
 
 
 
 
 
alla ex casermetta occupata…..
 
osservatorio contro la repressione : il caso di Valeria Porcheddu

 
 
 
 
 
 
 
http://www.osservatoriorepressione.org/2012/09/la-storia-di-valeria-porcheddu.html
 
 Scegli la Libertà , sbattezzati !      http://www.uaar.it/laicita/sbattezzo/

 
 
 
 
 
 
 
Viandanti libertari, riprendiamoci la terra ! il caso del Gruppo Acquisto Terra di Scansano in Maremma, solo una coop di nuovo tipo o un “business ecologico” ? apriamo il dibattito…
http://comune-info.net/2012/09/gruppi-di-acquisto-di-terreni/
 

 
 
 
 
 
 
 
qui invece il più famoso caso di Marina Leda in Andalusia
http://www.marinaleda.com/inicio.htm
Una insolita isola socialista che resiste alla crisi in Spagna. Così si vive a Marinaleda (Andalusia) dove i lavoratori governano una città e quando serve occupano le terre e fanno la spesa proletaria nei supermercati. Juan Manuel Sánchez Gordillo, che ha dominato le prime pagine nei giorni scorsi dopo aver condotto un “spesa proletaria” di cibo nei supermercati per consegnarlo ai bisognosi insieme al Sindacato Andaluso dei Lavoratori (SAT), è certamente un leader singolare all’interno della classe politica spagnola. Eterodosso tra gli eterodossi, le sue azioni passate hanno attirato critiche anche nei ranghi di Izquirda Unida di cui fa parte dal 1986 la sua organizzazionenel quadro del Blocco Andaluso-IU
http://web.rifondazione.it/home/index.php/esteri/12174-marinaleda-la-citta-sociale
e qui link sulla  recente occupazione delle terre a Somonte in Andalucia
http://www.lettera43.it/economia/macro/andalusia-diritto-alla-terra_4367551991.htm
 
Sole e Baleno

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
scarica libro completo in pdf “le scarpe dei suicidi”
http://blackblogger.altervista.org/tobia-imperato-le-scarpe-dei-suicidi/
 
 
Gente di marmo e d’anarchia
Nostra patria è il mondo intero – Il contro in testa di Marco Rovelli ed. Laterza

di Maria Teresa Grillo (il lavoro culturale)
10 settembre 2012
“Lavorare stanca, diceva il nostro compagno Pavese, no? Non so come lo sapesse lui, ma io lo so per esperienza. Ho sempre lavorato nella vita, sempre in fabbrica! E qui a Massa e a Carrara andare a lavorare in fabbrica per cinquant’anni è stato il sogno di tutti… Vabbè, di tanti… Di sicuro dei signori no! Il mio lo era, non potevo sperare certo più di quello. E però, proprio perché ho sempre lavorato, senti un po’ quel che ti dico” (anche Carlo cominciava a sbiascicare qualche parola), “e però sono convinto che l’uomo non è uomo nel lavoro, no!, l’uomo è uomo nelle cose inutili, quando canti, quando ridi, quando scopi, allora sei come un dio! E poi, pensaci bene, dimmi cosa c’è di più inutile di dio…”
Il contro in testa. Gente di marmo e di anarchia di Marco Rovelli, scrittore e musicista, è uscito a giugno 2012 per Laterza nella collana Contromano, quella delle “storie inconsuete di luoghi, di cose, di gente”. E come tutti i piccoli volumi di questa collana, è un ibrido.
Il libro di Rovelli ha infatti due anime: una più letteraria, composta dai racconti “di marmo e di anarchia”, raccolti attraverso la voce degli uomini e delle donne che hanno vissuto da protagonisti la storia dell’anarchia apuana; un racconto corale, i cui periodi si susseguono morbidi, e incalzanti. I luoghi percorsi sono reali, le storie realmente accadute, ma i toni, l’atmosfera e la lingua sono quelle di un romanzo: osterie, manifestazioni, passeggiate. Se poi il narratore è anche un musicista, allora succede che la musicalità dei periodi diventi un elemento caratterizzante, il cui effetto è del tutto naturale (e quanto ci piace!), e riverbera nei versi dei canti anarchici che inframmezzano il testo.
L’altra anima, più documentaristica, svolge un’analisi del presente e della storia recente, affrontando – in quello che purtroppo rischia l’effetto calderone – temi come lo sfruttamento delle scaglie di marmo per la produzione di carbonato di calcio, la zona industriale apuana, le questioni dei beni comuni, dell’imborghesimento, del proliferare dei gruppi neofascisti, dell’immigrazione, del G8 di Genova. L’unico problema del libro, forse, è proprio nella conciliazione di queste due anime – di per sé difficile, va detto – i cui punti di connessione stridono, quasi fossero due lastre di marmo che scorrono l’una sull’altra.
Rovelli è massese, e si muove bene nella sua terra. Ne conosce la storia, le storie, e quelle che non conosce se le fa raccontare girando per le osterie, per le manifestazioni, andando a trovare i partigiani, i pochi che ancora vivono in montagna, i vecchi pastori nei boschi. Le loro testimonianze formano l’ossatura della narrazione, soprattutto nella prima parte. Portano con sé la vividezza delle immagini ben impresse nella memoria e la forza evocativa della leggenda.
Massa e Carrara sono due città sorelle, anche se rivali, dell’Apuania, da sempre terra di cavatori, da sempre anarchici. C’è una motivazione capace di spiegare questo binomio: i cavatori lavoravano in squadre di tre o quattro persone, le cui vite erano legate, e in cui l’errore di uno solo avrebbe compromesso la vita propria e quella dei compagni. E poi, erano alla pari, non poteva esserci uno che comandava e altri che obbedivano. Di qui lo spirito di fratellanza e uguaglianza fra cavatori che, ovviamente, si catalizzava contro un obiettivo preciso: il padrone della cava.

Questo legame fra marmo e spirito libertario fa da sfondo al racconto (era facile intuirlo già dal titolo, in effetti), e compone una metafora articolata, sviscerata:
“Per spaccare il marmo devi capire qual è la linea giusta, il suo verso. Se la segui, tagliarlo è facile. Se invece provi a tagliarlo diciamo al contrario, se vai contro il verso, non ci riesci: non c’è verso, proprio. E quello si chiama contro. Ecco, i carrarini hanno il contro in testa, sono duri, resistono, e non c’è verso di scalfirli. Non c’è il verso, proprio”.
Il marmo è come la vita, morbido al verso e duro al contro.
“Solo che avere il contro in testa non è facile. È un bel fardello da portare. Che se ti trovi in periodi di piena va bene, sei un ribelle, ti unisci con gli altri e allora guai a chi vi tocca. Se Carrara è terra di anarchici ci sarà un motivo, no? Ma in tempi di secca, quando nessuno ha speranze di trasformare questo mondo, allora avere il contro in testa non è bello, vai contro il tuo vicino, il tuo compagno, il tuo amico. Tutti a parlar male dell’altro, a farsi guerra l’un con l’altro. Non è bello.”

Si potrebbe anche andare oltre, ed è in fondo l’autore stesso a suggerirlo, fino a dire che gli anarchici sono come il marmo: nel senso che questo, come l’anarchia, è il fondo duro e testardo che caratterizza l’Apuania e che eroicamente, tragicamente, si oppone agli eventi. Il marmo è nascosto eppure evidente, è duro ma arrendevole e in fondo arreso. E poi, “in Carrara anche le pietre sono anarchiche”, appunto, e il marmo stesso “dentro, è vivo. È come una pianta che ci ha alimenti dalla montagna”. In ogni caso, ammette Rovelli: “potremmo argomentare all’infinito quale metafora conviene di più, le metafore del resto sono fatte per questo”. E a un certo punto lui stesso ne abusa, e cede alla tentazione di fare dell’imborghesimento, dell’“addormentamento” della tradizione libertaria a Massa e Carrara metafora dell’Italia intera. Piccolo neo.

 
 
 
 
 
 
 
Il contro in testa è al contempo immersione ed emersione, è un viaggio di ritorno nella terra della propria storia e della propria formazione politica, fatta di personaggi noti alla storia o rimasti nella non meno importante mitologia locale, all’interno della quale l’autore però non perde lucidità, e continuamente si chiede se “quello spirito secolare è davvero un senso profondo che ha impregnato questa terra, o è solo una nostra immaginazione, un altro fantasma creato a uso e consumo personale per mascherare la nostra impotenza?”

È difficile fare i conti con un passato così denso:
Mi sentivo l’ultimo anello di una catena proliferante di padri, eredità polverizzate e disperse, e tanto più celebrate quanto più disperse. (…) E la generazione successiva, la mia, si è trovata orfana. Generazione smarrita, paralizzata nella propria irrequietezza, facile da tenere a bada. Anni plumbei, gli anni Ottanta, altro che anni “di piombo”. Eravamo piombati nella cattiva coscienza dello spettacolo onnivoro, nel tritacarne di un’interminabile moscacieca. E lo sapevamo: l’assenza non ha mai cessato di esserci presente, abbiamo vissuto circondati da fantasmi.
C’è da attraversarlo, dunque, questo campo pieno di fantasmi. E forse, dopo, saremo in grado di sporgerci in avanti.

E così Rovelli passa dall’odio per questa “madre secca e muta” al tentativo di comprensione, alla disillusione e alla critica. Che a volte sfiora i toni un po’ retorici – inevitabili? – del “non ci sono più gli uomini di una volta”, dell’importanza della memoria per non ripetere nuovi orrori, o dell’equazione tra anni Ottanta e Drive In (ancora…), ma altre volte ha la bella sfacciataggine di osare un epilogo in cui gli immigrati che manifestano contro le ingiustizie costretti a subire possono essere i nuovi ribelli di questa terra. La stessa in cui i figli dei vecchi anarchici imborghesiti sono rimasti orfani e non riescono a ricreare “un tessuto sociale, una comunità, un linguaggio, un senso comune. Pratiche quotidiane di resistenza e di ricostruzione”. Ma non è solo colpa loro, perché sono i padri ad essere stati incapaci di passare il testimone: hanno creduto di “aver già dato”, e che in quello si esaurisse il loro compito. Così, di questi padri non resta che l’esempio, l’unico capace di rendere liberi, a detta dell’autore, anche se attraverso simboli e pratiche differenti, perché è il mondo che è cambiato nel frattempo. Eppure, nonostante, o forse proprio per questo, regna la confusione sul da farsi, un’impressione amara, di sconfitta, solo lievemente confortata da quel senso di appartenenza e di affetto che rimane nonostante la resa:
“Ma il lavoro”, diceva Carlo, “il lavoro è nostro! Tra vanga e catena, io gli ho dato la vita a questa terra! Le vedi queste mani qui? Senti i calli! Sono come libri! Qui c’è scritto tutto! Le mie mani sanno quel che c’è da sapere. Ma sapere non è potere, caro mio. Il potere ce l’hanno gli altri.”
A noi che non siamo massesi, però, rimane soprattutto la fascinazione esercitata da questi personaggi, la voglia di sedersi con Carlo, il Taro e gli altri, appoggiati a un tavolo di marmo, e pendere dalle loro labbra facendosi raccontare ancora una volta le storie dell’attentato di Gino Lucetti a Mussolini fallito per un soffio, dei moti del 1894, di Gino Giorgi che ricercato dai carabinieri si diede per morto e visse altri trent’anni a casa sua. Bevendo un bicierin di vino, e poi due, e tre…

L’angolo  di  LUCIANA BELLINI:

prossimamente a Massa Marittima il 20 ottobre ore 18 terziere di Borgo e a Belforte il 10 novembre alle ore 17 alla Casa della Memoria.
Il teatro di Scansano sta preparando uno spettacolo teatrale con i suoi testi, qui riproduciamo la  recensione del nostro sodale dalla Tuscia…
DAL MESTIERE FINITO   (editrice Laurum) AL MESTIERE RIPRINCIPIATO
Come dal bozzolo di una formidabile scrittrice della vita contadina possa prendere il volo una farfalla-scrittrice della vita universale
di Antonello Ricci
Un billo di nome Angiòlo che passeggia su e giù per l’aia. È socievole. Curioso. Sficcanasa dappertutto. Fosse per lui, non rientrerebbe mai nel pollaio, manco a dormire. A volte prova addirittura a infilarsi su per le scale di casa. Ha orecchie e un cuore grande così… e ascolta ascolta ascolta. Proprio per questa sua misteriosa pietas ha scampato, una dopo l’altra, le mattanze delle Feste Comandate (chiò, chiò, chiò).
Poi c’è Luciana: donnina piccola-piccola, infinitamente peperina, testarda e coraggiosa. Moglie-madre a tempo pieno, fino a qualche “attimo” fa, ma anche casalinga. E coadiuvante agricola. E chi più ne ha più ne metta. Ma ora che i figli si sono fatti grandi e sono “partiti” e le è piombata addosso la pensione, Luciana si sente smossa e turbata dai primi cenni di menopausa. Si sa, gli ormoni non perdonano. E si ritrova così, all’improvviso, disorientata senza più il rassicurante orizzonte del suo mestiere-non-mestiere di sempre, nel cuore di un tormentato passaggio esistenziale. Con però ancora addosso vitalità da vendere. Tutto ciò le infligge una comprensibile sofferenza. Si sente sola. Incompresa nel suo desiderio per un “dopo” di ancora-vita. Così, a un crocevia tanto difficile e delicato, Luciana elegge il tacchino Angiòlo a proprio confidente… e parla parla parla (gnamo, gnamo).
Infine c’è Lui, il marito-Capoccia del podere. Uomo buono e dolce, comprensivo, generoso, che da sempre si ammazza di lavoro per la famiglia. Ma pur sempre maschio. E i maschi di certe questioni sembrano proprio non poter e non voler capire: restano troppo lontane dal loro mondo di certezze ereditate e tramandate sotto il segno di un lavoro che redime ma anche abbrutisce: così a tavola Lui è sempre distratto, insofferente a certi discorsi, mangia e si butta davanti alla televisione, si addormenta. Sente che su questo punto con Luciana sono troppo-troppo distanti, ne soffre anche lui, ma sceglie di proteggersi nel silenzio.

Questi, in sintesi estrema, protagonisti e ingredienti principali del nuovo libro di Luciana Bellini: il bel racconto lungo Il mestiere finito, appena uscito dai torchi della casa editrice Laurum di Pitigliano (pp. 84, euro 10.00; seria la cura editoriale, si segnala qui la deliziosa copertina). Il mestiere finito rinasce a nuova vita dopo una infelicissima prima edizione datata 2010, mortificata dai refusi e da un glossario alla viva il parroco, nonché impoverita da un titolo grossolano e vacuamente ammiccante: Il billo della vita.
Il mestiere finito è un libro in cui c’è veramente poco spazio per spiritosaggini stucchevoli o per bagni di lacrimuccie da nostalgie campagnolo-crepuscolari. C’è sempre la Luciana che abbiamo amato fin dai suoi esordi (dai Racconti raccontati a La terra delle donne). C’è sempre quel suo disarmante, poeticissimo canto in minore per l’infanzia perduta dei vicoli di Scansano e un mondo contadino feroce, ignorante e abbracciato con sofferenza, ma sempre ricco di vera cultura e umanità pietosa. C’è sempre la miracolosa scrittrice contadina che sa farsi “stenografa” morale, testimone partecipe della doppia oppressione che segnò la vita contadina al femminile.
Ma stavolta c’è di più. Luciana aveva già offerto ai suoi lettori un promettente assaggio di novità con La cittina (Millelire speciale di Stampa Alternativa-Strade Bianche): racconto breve, di straziato-composto dolore incentrato sulla morte di suo padre e sul proprio (inevitabile) precoce ingresso nel mondo del lavoro come servetta presso una famiglia benestante (schiavitù dell’infanzia contadina). Ma con Il mestiere finito Luciana abbandona definitivamente il suo bozzolo di scrittrice contadina per volare, finalmente libera farfalla, scrittrice tout court. Scrittrice punto-e-basta. Eh sì, perché stavolta Luciana trova il coraggio di attaccare con le armi del racconto i luoghi più profondi remoti protetti (spesso rimossi) della nostra vita di uomini e donne: il privato del nucleo coniugale, le speranze disattese, le frustrazioni di una vita, il silenzio e le incomprensioni di una vecchiaia che prima o poi arriverà. A fianco di un uomo con il quale non si riesce a parlare di desideri e attese. Di cose più intime di quelle quotidiane. Di cose spirituali. E quindi si soffre. Ma proprio in questo frangente di bilanci urgenti, ultimativi quanto problematici, va detto che Luciana si rivela capace di analizzare fino in fondo con occhio impietoso e spassionato la propria fragilità di donna, di essere umano, la propria solitudine, la propria inestinguibile voglia di felicità e poesia, finendo per trovare accenti di verità universale. Luciana riesce insomma a trasfigurare la propria vita in letteratura senza aggettivi. Il mestiere finito è un racconto amaro, caustico a tratti. Ma anche (come sempre, in Luciana) lieve, pieno di garbo, pronto al sorriso. Luciana sempre innamorata della vita come miracolo. Sempre speranzosa nel domani come nuovo incipit. Sempre perdutamente innamorata del suo Elvo. E, infine, sempre ostinatamente felice sotto il cielo fecondo e turbolento di un mestiere finalmente ritrovato. E riprincipiato. Il mestiere di scrittrice.
LETTI (o riletti) PER VOI : Potassa (stampa alternativa ed.) storie di sovversivi maremmani
Potassa: quando i fascisti arrivarono a Tatti

di Alberto Prunetti
Schegge di memorie che documentano la resistenza popolare all’avanzata dello squadrismo fascista. Il primo brano racconta una rissa scatenata dall’arrivo di un gruppo di squadristi a Tatti, un borgo di minatori con una forte tradizione rossa, posto sulle colline dell’Alta Maremma
21 maggio 1922. Il brigadiere dei carabinieri Mauri, di stanza a Tatti, si avvicina al caffè del Martelli. Il militare ama il quieto vivere e si accorge con un po’ di contrarietà della presenza di un gruppetto di fascisti all’interno del locale. Si rende conto che nasceranno guai. La presenza di questi sei o sette “schiavisti”, come li chiamano tutti in paese, non passerà inosservata. Già i primi comunisti cominciano a rallentare il passo nei pressi dell’entrata del caffè. Il brigadiere si fa coraggio e tenta di intercedere con le buone. Si avvicina al tavolo dei fascisti. Loro sono solo di passaggio, vengono da Torniella, un paese vicino alla provincia di Siena che ha ospitato una manifestazione fascista. Il carabiniere li invita bonariamente ad affrettarsi, perché il paese è pericoloso per la folta presenza di sovversivi.
Il carabiniere Mauri ha fatto il suo dovere. Adesso torna in strada, ferma altri carabinieri e aspetta il volgere degli eventi. Per strada riconosce le facce dei soliti facinorosi, gente come il comunista Albano Innocenti, come il Civilini, come il turbolento Gorelli, che sa solo creare disordini, che passa le giornate a leggere la stampa sovversiva e a svuotare fiaschi di vino e ostenta sfida e disprezzo nei confronti delle autorità. I fascisti poi hanno capito così bene i consigli del brigadiere che cominciano a cantare “Giovinezza”, l’inno fascista. Il canto attira altri sovversivi: c’è chi staziona davanti al locale, chi ogni tanto entra, come per sorvegliare il contegno degli avversari. Uno di questi comunisti, il Gorelli, fissa negli occhi il brigadiere. Poi, ad alta voce, indirizza al milite queste parole: “Cantano i fascisti non gli fate osservazione, mentre a noi voi mascalzoni di carabinieri o ci arrestate o ci fate la contravvenzione.” E il tutto proferito con un tono ed un contegno provocatorio.
Il brigadiere si irrigidisce. Rivolgersi così a un pubblico ufficiale? A un milite nell’esercizio delle sue mansioni? Dov’è il rispetto per la divisa? Quest’uomo ha commesso un reato. Portarlo in caserma, con tutti i suoi compagni presenti, può creare altra tensione. Ma quando è troppo è troppo, ormai i sediziosi si permettono ogni affronto. Il militare vuol mostrarsi risoluto: chiama gli altri carabinieri e intima loro di arrestare il Gorelli. I carabinieri stringono le mani attorno alle braccia del sovversivo e lo spingono verso la caserma, ma non hanno fatto dieci passi quando la folla comincia a stringersi su di loro.
È il momento di fare i conti con i compagni dell’arrestato. Albano Innocenti, noto caporione, comincia ad urlare: “Lo vogliamo levare dalle mani dei carabinieri!”. La folla si fa ancora più minacciosa. L’Innocenti sovrasta tutti colla sua voce: “Andiamo, via, lo vogliamo fuori!”. Il brigadiere è consapevole di rappresentare l’autorità, non può permettere di farsi sottrarre l’arrestato. Decide che è il momento di preservare l’onore della divisa che indossa e affrontare l’Innocenti, per far intendere a tutti che lui si opporrà con energia ai propositi dei sediziosi. L’Innocenti non rimane affatto impressionato dall’atteggiamento dell’uomo di legge, arriva addirittura a scagliarsi contro questi senza alcun timore. La colluttazione è violenta, gli altri sovversivi non stanno a guardare e si accalcano sul brigadiere Mauri. C’è chi lo strattona, chi cerca di immobilizzarlo. Girolano Civilini, un altro ribelle, lo tira per una gamba per farlo cadere a terra. Tutta la strada è occupata da questo violento parapiglia. Adesso Innocenti tenta di disarmare il brigadiere, riesce a staccare il correggiolo della fondina, ma il Mauri è lesto ad impugnare l’arma per primo. I due lottano intorno alla pistola, l’Innocenti morde la mano del carabiniere. Si fa sotto anche Robusto Biancani[nella foto, ndr], il calzolaio, che senza pensarci due volte si attacca ad una gamba del brigadiere, col proposito di farlo cadere. Ed infine questi cade. Tenta di rialzarsi, quando vede Temistocle Coli, vecchia tempra d’anarchico settantaduenne e amante del buon vino, dirigersi contro di lui con un bastone in mano. Nonostante l’età il Coli non vuol farsi sfuggire la buona occasione per regolare certi vecchi conti. La sua mano è salda: vibra un colpo sul fianco del carabiniere che produce un’escoriazione profonda.

Ma intanto rimbombano dei colpi d’arma da fuoco. Segno che anche i fascisti cominciano a farsi sentire. C’è un attimo di sconcerto, quanto basta al brigadiere per premere il grilletto di quella pistola che è riuscito a non mollare. Colpisce il Civilini, che non ha smesso di malmenarlo. Ma gli spari non si fermano, anzi, aumentano d’intensità. Il brigadiere si rialza e sebbene stordito si dirige verso la caserma. Fatti pochi passi viene raggiunto da altri carabinieri, che accorrono per vedere cosa sta accadendo. D’un tratto si fermano. C’è un uomo riverso per terra. Ormai è morto, lo riconoscono: è Patrizio Biancani, il padre sessantenne del comunista Robusto.
D’un tratto la strada si libera. Il tumulto è finito, la gente – sconvolta per l’assassinio del vecchio tatterino – si dilegua. Il brigadiere pensa solo a come redigere il verbale. L’importante è chiarire la propria posizione, evitare grane a se stesso e, nei limiti del possibile, ai fascisti. Riflette: lui non può aver ucciso il Biancani. La sua pistola ha sparato, ma si sono sentiti altri colpi. C’erano anche i fascisti, ed erano armati, è probabile che fossero armati, ma lui non ha potuto vederli. E in ogni caso dirà che tutti loro si sono difesi, perché i sovversivi li hanno provocati. Sembra credibile. È questo perlomeno che si deve sapere, che lui metterà a verbale, che la stampa deve scrivere e – immancabilmente – scriverà. Raccoglie le idee mentre procede verso la caserma, quando il gruppetto di fascisti lo raggiunge. Lo vedono ferito per le botte dei sovversivi. Gli propongono di vendicarsi: in poche ore possono far accorrere centinaia di squadristi da mezza Toscana. Ma il brigadiere ama il quieto vivere. Li dissuade dai loro propositi e li invita ad andarsene. Ha capito che il tempo delle vendette sui sovversivi è arrivato. Questione di giorni, di settimane, e la sfrontatezza dei sovversivi sarà ormai cosa del passato: non mancheranno occasioni di rivalsa. E poi in fondo lui è un uomo d’ordine, e non vuol fare l’eroe nemmeno per i fascisti: meglio stendere un bel verbale. Si siede sulla sua scrivania, attende per un po’ la musa, ma l’ispirazione tarda. Se la cava con un più prosaico codice penale e un modulo prestampato collo stemma sabaudo impresso.
Potassa continua raccontando la storia del figlio di Biancani, morto durante gli scontri del 21 maggio. Per vendicare il padre Robusto Biancani insieme ad altri sovversivi ucciderà il 22 maggio 1922 due ricchi agrari del luogo, uno di note simpatie fasciste. La ritorsione dei fascisti a questo episodio non si farà aspettare: quella sera stessa 400 squadristi arriveranno a Tatti per devastare il paese e metterlo a ferro e fuoco. Biancani si renderà irreperibile. Fuggirà prima in Francia, poi in Unione Sovietica. Là morirà nel 1938, vittima delle purghe staliniste.
 
 
 
 
 
 
 
 
per la storia incredibile di questo monumento a Ferrer a Roccatederighi vedi alla voce Antonio Gamberi nel numero 5
 
 
 

 
 
1932 racconto metricato di Antonello Ricci
1932 comincia là dove finiva Sottoassedio. Ma violenza politica ed epica collettiva per una volta restano sullo sfondo. In primo piano ecco invece storie private, emozioni, sentimenti. E una folla di altri personaggi. Edoardo, il fabbro-podista. Nonno Olindo, il cavallaro che canta da poeta. Valentinuccio il gobbo sempliciotto, fascista della prim’ora. Una ragazzina di nome Libertaria. Il popolo di cavatori e scalpellini. Le camicie nere. 1932 è senz’altro una delle opere migliori nella sterminata e poliedrica attività di Antonello
Questa storia comincia con uno schiaffo. C’è una madre impietrita dallo strazio. Si chiama Gemma. Una contadina bella e orgogliosa, ma non sorride più. Dieci anni prima i fascisti le hanno ucciso il figlio Antonio. Lei dà lo schiaffo. La guancia rossa e le lacrime sono invece dell’altro figlio, il piccolo Valerio. Dieci anni. Dolce poeta di bambino, piccola lenza di proletario. Faceva a botte con un compagno, è rotolato in mezzo agli stivali di un regista. Quello l’ha tirato su,  l’ha guardato in faccia, l’ha fatto recitare. Una comparsata, niente più. Che film? Un film di fascisti. Non ti azzardare! Schiaffo. Quel regista è Blasetti, il film è Vecchia guardia.
EODARDO, PODISTA ANTIFASCISTA
Sono due gambe che corrono.
Sì, sopra c’è un ciuffo ribelle,
indomabile, che balla al vento,
due guance che soffiano,
due mani callose,
abituate al mantice, all’incudine,
mani che oscillano grevi al ritmo della corsa,
senza perdere un colpo,
e un busto troppo troppo corto.
Edoardo non è bello.
Edoardo è solo due gambe che corrono,
due gambe resistenti, ostinate, coraggiose,
che volano sulla polvere del sentiero,
sul ponte di fosso Luparo,
oltrepassano
cascate e chiuse,
la concia, la cartiera,
il molino abbandonato,
l’Arcione l’Arcionello,
la strada intagliata nella roccia,
le cave antiche,
e sbucano nella valle
tra ali di popolo entusiasta.
Due gambe che fiutano il traguardo,
che superano d’un fiato
i giovanotti, figli di gerarchi,
i damerini della Robur,
rampolli pallidi della borghesia locale.
Due gambe che rappresentano
orgoglio e fierezza d’un popolo,
l’ultima riscossa proletaria,
che vendicano i pestaggi,
gli agguati sotto casa,
i tirapugni, le purghe, i manganelli
le tortorate,
le terre occupate
ridate
ai signori proprietari con mille scuse,
i contratti dei mezzadri
mai rispettati,
i coloni scacciati come cani.
Edoardo il fabbro-podista
è il simbolo
del poco che resta.
Così, quando s’affaccia e risale
dal fondo del campo di pallone,
come una figurina che arranca
in un bagno di sudore, inesorabile
come un cammello che avanza
in una nuvola di polvere,
è un istante di gelo
senza fine.
Dunque, non un atleta in camicia nera,
anche quest’anno, ma il comunista Edoardo
correrà le selezioni a Roma.
E quando taglia il traguardo, primo e solo,
che fa, questo pazzo?
Alza il pugno chiuso
in segno di vittoria,
di rivincita, di evviva!
E lo sbandiera oltracotato
come un provocatore.
Subito la valle si riempie
di applausi, un boato imbarazzante.
Mentre i gerarchi, sull’attenti
in tribuna, ammutoliti,
sono maschere impassibili. Sotto
digrignano i denti per la stizza.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Rubare per l’anarchia di Jean Marc Delpech  ed. Eleuthera (la vera storia di Max Jacob che ispirò Arsenio Lupin)
Preferisco essere un ladro che un derubato. Anch’io condanno il fatto che un uomo s’impadronisca con la violenza o l’astuzia del frutto del lavoro altrui. Ed è proprio per questo che ho fatto la guerra ai ricchi, ladri che rubano ai poveri. È stata questa la mia rivoluzione».

Figlio della Marsiglia proletaria, Jacob a 11 anni si imbarca come mozzo e a 16 inizia la sua militanza anarchica. Convinto che «la proprietà è un furto», decide di agire in prima persona nella redistribuzione della ricchezza. E diventa un ladro geniale, i cui colpi segneranno la storia del furto con scasso… Con una banda che non a caso si chiama «i lavoratori della notte», in soli tre anni (1900-1903) mette a segno 156 «riappropriazioni» ai danni di banchieri, prelati e magistrati. Condannato ai lavori forzati, sopravvive per vent’anni all’inferno della Caienna e torna libero solo alla fine del 1927, grazie a una campagna nazionale in suo favore. Se smette di compiere furti, non smette di essere anarchico, e lo rimarrà fino alla fine dei suoi giorni, cui pone fine volontariamente nel 1954(con una iniezione di morfina, lasciando due litri di vino rosato e un biglietto con scritto “brindate alla mia salute”) Questa biografia racconta la sua storia straordinaria.
 
Alessandro Angeli, di lui abbiamo parlato ben volentieri nei numeri scorsi,  ricordiamo i libri “Ragazzo Fiume” e ” Ragni” adesso ci raggiunge con un frammento  del suo ultimo libro
Brano tratto dal racconto Songster, cosmografia di un vagabondo di Alessandro Angeli, Edizioni Controluce (2012), pag. 76
 

Sono pochi gli uomini che possono godersi un buon sonno. Se la notte, nonostante le ossa rotte, continuo a rigirarmi nella coperta,è solo perché mi sono tornate in testa le immagini di questa storia. Se guardo indietro ai miei anni, alle persone che ho incontrato,mi sembra di avere davanti soltanto una filza di manichini.Nell’occhio mi rimangono gli scorci dei campi, dove il mare urlava per diventare burrasca. La stessa burrasca silenziosa che ci portavamo dentro. Nei giorni di sole, dal mezzo che ci stipava, evitavo di guardare la strada, sapevo che non l’avrei tollerata a lungo, perciò osservavo il paesaggio degradare dalle colline. I campi crudi, infuocati, si stampavano nella mente e vederli così solitari, abitati soltanto dal vento, mi faceva credere per un attimo di essere vivo. Sotto questo mare buio che trema c’è la mia terra. Solo dentro di lei vivo, stando attento di non dirlo a nessuno. I suoi abitanti non sono radunati qui, ma se ne stanno sparsi per la città, disseminati ai suoi margini. Anche se a quest’ora non c’è grossa differenza, perché sotto questo mare buio, dove stanno le sagome scure delle colline, soffia solo un vento silenzioso. Nel pomeriggio, si può vedere la schiuma del mare raggiungere il verde e formare fontane di luce in mezzo alla foschia delle nuvole. Questa luce è stata la prima cosa a finirmi negli occhi. Nei giorni di festa la gente balla senza capire, al contrario mio che cerco sempre di riannodare tutto e finisco che mi confondo. Durante la festa la contea brulica di gente, i bianchi li vedi muoversi con passo certo, confinando all’esterno del loro calore gli abitanti della mia terra, così quel loro modo di camminare mi appare del tutto inutile. Lungo la strada gli uomini vendono le merci e guardano con i loro grandi occhi vuoti, gli sguardi delle donne invece sono più rapidi e difficilmente indugiano. Fuori dalla città, in un piccolo camposanto dimenticato, ci sono le tombe dei nostri antenati e ogni tanto qualcuno viene a saccheggiarle, deturpandole. Stanotte il cielo è talmente scuro che sembra un tendone, ed io sono tornato a tormentarmi.
 
Sacha Naspini: una bella conferma narrativa dello scrittore maremmano  dopo il suo libro “i cariolanti”

Una storia che ti scava dentro quella narrata da Sacha Naspini nel romanzo Le nostre assenze, pubblicato da Elliot. Scava dentro ai protagonisti e dentro al lettore. Scava perché narra di solitudini e di assenze, come recita il titolo, e di situazioni che, in un modo o nell’altro, hanno il sapore della quotidianità. Dalla morte fisica del nonno a quella intima della nonna che vive di ricordi rammentando una storia d’amore di quarant’anni prima. Dall’abissale solitudine e lontananza tra genitori all’incomunicabilità con il figlio. Dagli amori che finiscono alle (pseudo) amicizie tenute in piedi per una sorta di convenienza.
Le nostre assenze racconta la vita di un ragazzo che si trova ad affrontare tutte le situazioni sopra descritte e, in alcuni casi, a esserne l’artefice. Ambientata in Toscana la vicenda ci mette dinanzi agli occhi il nascere e lo svilupparsi di una vendetta, prima in maniera inconscia poi via via sempre più consapevole e studiata. Sacha Naspini descrive con bravura e precisione chirurgica quello che si agita nel cuore dei protagonisti del romanzo e rende partecipe il lettore del dramma che si svolge dinanzi ai suoi occhi. Non voglio svelare molto della trama, perché gli eventi sono così ben concatenati e così fluidamente narrati che si rischia di dire troppo o troppo poco.
Un pregio non secondario di questo romanzo è l’essere ambientato nelle nostre terre e nel narrare – senza quella stereotipata struttura cronologica e temporale costruita a tavolino che ormai imperversa nei romanzi d’ogni genere – in maniera logica e sequenziale gli avvenimenti.
Solitamente, poi, non mi soffermo a guardare le copertine perché sono sempre più convinto che un libro non si giudichi dalla copertina (come vuole farci credere una certa editoria che propala copertine fantasmagoriche per storie scritte e raccontate male) ma per questo romanzo faccio un’eccezione: la spirale che campeggia in copertina, infatti, riassume alla perfezione il romanzo. Inoltre, al termine (o all’inizio?) della spirale c’è un bambino che guarda il lettore (o è il lettore che guarda il bambino?): splendida rappresentazione grafica del movimento che troveremo all’interno del romanzo, con la spirale che diventa anche una sorta di molla che ora si appiattisce ora fa schizzare lontano. Alla fine, come dice uno dei personaggi del libro, si rimane con una domanda:

A conti fatti chi, tra noi due, ha rubato più all’altro? La risposta finale forse non esiste.

O forse si. ( Roberto Russo)
 
Continuiamo a parlare di David Graeber, è uscito ( tradotto dal nostro complice scarlinese Alberto Prunetti) per Eleuthera il suo libro ” Elementi di antropologia anarchica” ecco il link http://www.eleuthera.it/scheda_libro.php?idlib=207
e sempre tradotto da Alberto segnalamo intanto  il libro “Debito i primi 5000 anni” di Graeber, su cui ritorneremo presto
 

 
 
 
 
 
 
 
Nuovo succoso numero di Tracce , rivista libertaria maremmana con, tra gli altri, i fotografi Pino Bertelli e Maurizio Moretti. Di quest’ultimo segnalo un bel reportage dalla Mongolia.(Qualsiasi scritto di Tracce può essere liberamente saccheggiato, riprodotto, tradotto o adattato (con qualsiasi mezzo) anche senza indicazione d’origine… che la bellezza della libertà, dell’indignazione e della disobbedienza sia con voi!).

http://www.traccedizioni.it/tracce.html
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note di cibo di viaggio
Ci siamo fermati a mangiare e bere per voi….
Vagando per lavoro in Maremma e nel senese abbiamo stilato un piccolo elenco di luoghi dove, mangiare un primo, un panino, e bere una birra e un bicchier di vino, o addirittura pranzare e cenare, non sia letale per il nostro fegato e per le nostre inesistenti risorse finanziarie. Scordatevi i luoghi sgangherati e autentici, e anche un po’ sudici di una volta. Non ci sono praticamente più. L’avanzare del turismo cavallette, dell’euro, dell’happy hour e, allo stesso tempo, della parodia di questi luoghi in improbabili feste delle cantine, dei vini nuovi, ma soprattutto di october fest anche di luglio come a Marina di Grosseto o a Massa Marittima, ne hanno schiantato persino il ricordo. Chi è passato a Frosini sulla strada per Siena nel bar alimentari gestito dai “paperi” sa di cosa parliamo. Un locale che fino ai primi anni del duemila ha conservato una nuvola di fumo, mosche, turisti, tagliatori, cacciatori e fungai, un bagno del 1800, e panini favolosi a prezzi irrisori. Un po’ come l’osteria di Pian di Mucini. Adesso è tutto anonimo e ripetitivo nei tavoli di plastica, nei frigo, nei prezzi da orefici.

Persino le sagre popolari e feste del partitone spesso e volentieri rifilano vini assassini, cacciucchi improbabili e prezzi da Baglioni. E le lumache, le bellissime lumache,dove son finite?! Il cinghiale lo trovate ovunque ma o tirato via per il turista o/e a prezzi non umani.Il Morellino venduto a peso d’oro..Ci sono eccezioni, luoghi che comunque si sforzano di dare anche altro. Alcuni, come lo storico ” Quartiere Latino” a Follonica hanno una buona programmazione di mostre,concerti e cabaret, basta che vi mettiate sulla lunghezza d’onda molto particolare del barista, il Moretti,ex lupo di mare, redattore della rivista libertaria Tracce e capo ultrà del Genoa, o cene antimafia e iniziative per Libera come al “Tiburon” poco lontano,qui la pizza è buona l’ubicazione sul mare ancora di più. Sulla strada per Livorno tra Bibbona e la California (luogo di burloni che sfruttando il loro nome votano in piazza per il presidente americano nello stesso giorno delle elezioni negli states) c’è “il Rifrullo” ,il bar serve ottimi panini a prezzi onesti, e le sue pareti fanno anche da piccolo museo dei Pink Floyd. Se vi aggirate intorno Siena non mancate ” l’osteria del braccio” sulla strada per Quercegrossa, vino, piatti di trippa e ambiente non vi deluderanno. A Monteriggioni alla Colonna ci si può ancora fermare all’ “osteria dell’orso”. Risalendo da qui verso le Colline Metallifere, al bivio per Belforte loc. Paugnano notate il podere con trecento pecore ove mangiare e alloggiare splendidamente e, soprattutto, comperare formaggi e ricotte favolose, freschissime, a prezzi veramente buoni. Arrivate nel paese più alto, Gerfalco, merita una visita all’ingresso del paese la locanda ristorante bar “da motosega” entrate e capirete perchè…Boccheggiano,già paese minerario, ospita “la tana dell’Upo” e al Gabellino una buona pizzeria anche se l’arredamento annovera sciarpe juventine.

Scendendo verso Massa Marittima in Ghirlanda (sede dell’ononima fiera del bestiame e raduno di indios maremmani il 1 settembre) girate a sinistra per Ribolla(qui in località Casteani c’è una rivendita di salumi, non vi potete sbagliare, c’è un gigantesco maiale che gira) e dopo pochi km troverete Pianizzoli, un vecchio podere, con cavalli e animali da cortile, anche agriturismo nello spirito originale del termine, gestito dagli eredi del grande poeta estemporaneo Lio Banchi: qui ogni tanto riusciamo a presentare libri nel corso di cene indimenticabili, i tortelli di Vanda sono giustamente leggendari. A proposito, tra Grosseto e Marina non mancate “gli attortellati” un podere con tanto di maiali che fa anche da ristorante, il nome è un programma e una certezza. Avete poi preso per le traverse interne tra luoghi beneauguranti come Casotto Pescatori, il Cristo (sede di cantina sociale) e Piatto Lavato ?

Vi ritrovate a Braccagni (qui nell’oliveta il 1 maggio si ritrovano tutte le squadre dei maggerini maremmani) e vicino alla sua stazione far west c’è un forno alimentari davvero notevole. Se poi salite a Vetulonia di fronte al museo archeologico c’è un ristorante bar alimentari giocattoli trappole varie come una volta, giardino in terra battuta senza false pretese, rude, buono, economico. Vi ritrovate sulla strada per Scansano? Vicino al podere di Luciana Bellini all’incrocio per Pomonte c’è sia uno splendido forno e alimentari, sia una rivendita di salumi e formaggi della cooperativa contadina. Buono anche il rapporto qualità prezzo nell’alimentari della piazza di Santa Fiora sull’Amiata. Insomma, evitate come la peste i lungomare,i ristopizza, finte enoteche e alberghi di lusso con piscina travestiti da agriturismo.Inoltratevi nell’interno, girate nei paesi fantasmi, cercate le vecchiette nelle botteghe alimentari, battete i circolini arci, contattate i bracconieri del luogo se siete carnivori. Aspettiamo adesso vostre dritte ed esperienze….(Ulisse)
 
 
 
Alle volte ritornano : è di nuovo in edicola Lotta Continua, nell’ultimo numero uno speciale sugli Arditi del popolo e le barricate di Parma nel ’22 e  un lungo articolo sui compagni baschi www.conflittimetropolitani.it

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Film, visto per voi: Nestor Machno, la rivoluzione anarchica in Ucraina
Documentario a cura dal Centro Studi Libertari – Archivio Giuseppe Pinelli: http://www.centrostudilibertari.it da dove proviene anche la spiegazione che segue. Visitate il sito ottima risorsa di materiale raro e inedito utile a chi vuole capire anarchia e a chi si occupa di diffonderla..
Nestor Ivanovic Machno (1889-1934) è stato il personaggio centrale di una rivoluzione libertaria in Ucraina schiacciata nel sangue. Hélène Châtelain (regista teatrale e cinematografica, di famiglia russo-ucraina) ha riesumato dopo oltre settant’anni di silenzio testi, immagini e documenti che tracciano la vita straordinaria di Machno, morto poverissimo in un infimo alberghetto di Parigi. Poverissimo come era nato, in una famiglia di contadini.
Ma dal 1917 al 1921 Machno è il leader di un movimento anarchico contadino che spazza una regione grande più di metà dell’Italia, coinvolgendo milioni di uomini e donne in un grande esperimento di autogestione libertaria. L’armata machnovista, costituita per lo più da contadini, supera nel 1919, al culmine dell’insurrezione, i 50.000 effettivi… Nelle storie ufficiali dell’URSS di tutto questo non se ne trova traccia. Neanche una parola. Se non per una breve e brutale condanna, assoluta come il silenzio. Dopo la sconfitta militare da parte dell’Armata Rossa, Machno è costretto a lasciare l’Ucraina e nel 1925 si rifugia infine a Parigi. Lo insegue una domanda di estradizione, da parte di Mosca, per “tradimento della patria, omicidio e saccheggio”.
Con la fine del regime sovietico, Hélène Châtelain è potuta tornare nei luoghi della machnovitchina e ricostruire, anche attraverso testimonianze originali, la storia dell’epopea machnovista.

 
http://youtu.be/XJoxTQhaCpA
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Film : Valzer con Bashir
I conflitti del Libano e il massacro di Sabra e Chatila, trent’anni dopo una ferita non rimarginata
 

 
 
 
 
 
 
http://youtu.be/XDn21Qll4WM
 
 
 
Musica per le nostre orecchie….
E Verrà il dì Che Innalzerem le Barricate dell’album Canzoni Ribelli di Youngang
Prona la fronte sotto il peso del lavoro
piegato a corda è lo scudiscio del potente
purchè la gioia dia a chi vive nell’oro
senza dimani il lavorator morente.
Siam nel dolore di un schiavitù tiranna
uniti insieme da sacramental promessa
sulla terra del duol, tutti pronti a morir
alla luce del sol.
In questa notte
di tenebre secolari
il nero drappo
sventola su un carro di fuoco
E redentrice
una marcia, sian proletari
l’anarchica gloria
alla nuova umanità.
E verrà il dì che innalzerem le barricate
e tu borghese salirai alla ghigliottina
per quanto fosti sordo alle stremate
grida di chi morìa nell’officina
Pei nostri figli fino all’ultimo momento
contro te vile borghesia combatteremo
su da forti pugnam
per la lotta final
l’Anarchia salutiam.
In questa notte
di tenebre secolari
il nero drappo
sventola su un carro di fuoco
E redentrice
una marcia, sian proletari
l’anarchica gloria
alla nuova umanità.
E verrà il dì che innalzerem le barricate
e tu borghese salirai alla ghigliottina
per quanto fosti sordo alle stremate
grida di chi morìa nell’officina
Pei nostri figli fino all’ultimo momento
contro te vile borghesia combatteremo
su da forti pugnam
per la lotta final
l’Anarchia salutiam.
In questa notte
di tenebre secolari
il nero drappo
sventola su un carro di fuoco
E redentrice
una marcia, sian proletari
l’anarchica gloria
alla nuova umanità.
http://youtu.be/PErVk8LMoNU
 
 
 
 
 
 
 
 
qui un grande concerto live  di Manu Chao a Bayonarena
http://youtu.be/tnmH_pLNMZ4

 
 
 
 
 
 
 
 concerto live a Siena di Patty Smith ecco un video pirata !

 
 
 
 
 
http://youtu.be/wTgURBWnUhk 

 
 un ricordo di Jimy Hendrix, dopo di lui  il diluvio
http://youtu.be/AjkwVFKy3yA

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Fotografi contro : Franco Zecchin & Letizia Battaglia
http://youtu.be/yMJWfAGu5z8

 
 
 
 
 
 
 
 
Fotografo controvento: Maurizio Masotti

Un viaggio per immagini lungo una vita, un fotografo per passione, frammenti di memoria…..”se il tempo è spazio, allora lentamente andiamo.Cerchiamo la pazienza del sommare la cosa a cosa. E legger mutazioni nel percorso.” Giancarla Frare  Rasoterra
 
 
 
LTMD video : inaugurazione all’orto botanico di Siena di foto for fake, mostre di Francesco Minucci e Alessandro Pagni, direzione Daniela Neri 

 http://youtu.be/gwO-GIrTlnw 
 
 
 
 
 
Incontro internazionale anarchico di S. Imier, un video…
http://youtu.be/UfScN_TpU0Y

 
 
 
 
 
 
 
 le foto di questo numero sono di J.Koudelka, Stefano Pacini, Ippolita Franciosi, Pino Bertelli, Enzo Cei, e altri autori non identificati (fatevi vivi)
Link utili www.stefanopacini.org
www.radiomaremmarossa.it
www.carmillaonline.com www.ltmd.it www.infoaut.org
http://collettivoanarchico.noblogs.org www.senzasoste.it
www.finimondo.org
Maremma Libertaria Esce quando può e se e come gli pare. Non costa niente, non consuma carta e non inquina, se non le vostre menti. Vive nei nostri pensieri,perchè le idee e le rivoluzioni non si fanno arrestare, si diffonde nell’aere se lo inoltrate a raggera. Cerca di cestinare le cartoline stucchevoli di una terra di butteri e spiagge da bandiere blu,che la Terra è nostra e la dobbiamo difendere! Cerca di rompere la cappa d’ipocrisia e dare voce a chi non l’ha, rinfrescando anche la memoria storica, che senza non si va da nessuna parte. Più o meno questo è il Numero 9 del 25 settembre 2012. Maremma Libertaria può essere accresciuta in corso d’opera ed inoltro da tutti noi, a piacimento, fermo restando l’antagonismo , l’antifascismo e la non censura dei suoi contenuti.
In Redazione, tra i cinghiali nei boschi dell’alta maremma, Erasmo da Mucini, Ulisse dalle Rocche, il Fantasma della miniera, le Stelle Rosse stanno a guardare, Alberto da Scarlino, Alessandro da Grosseto, Antonello dalla Tuscia, Luciana da Pomonte,Complici vari , Ribelli di passaggio,maremmani emigrati a Barcelona.
No copyright, No dinero, ma nel caso idee, scritti, foto, solidarietà e un bicchiere di rosso.
Nostra patria il mondo intero, nostra legge la Libertà, ed un pensiero Ribelle in cuor ci sta (Pietro Gori) http://youtu.be/_KVRd4iny8E
Potranno tagliare tutti i fiori, ma non riusciranno a fermare la Primavera (Pablo Neruda) http://youtu.be/wEy-PDPHhEI (Victor Jara canta Neruda)

Sempre, comunque e dovunque : Libertà per tutti i compagni arrestati !– Fori i compagni dalle galere !-Libertad para todos los presos ! – liberdade para companheiros presos! -comrades preso askatasuna!- liberté pour les camarades emprisonnés!-freedom for imprisoned comrades !- Freiheit für inhaftierte Genossen!- ελευθερία για φυλακισμένους συντρόφους ! – الحرية لرفاق