Guardia Piemontese: gli Occitani perduti

Testo e fotografie di Stefano Pacini

Non sono molti i viaggiatori o i turisti lungo la costa tirrenica calabrese, tra Fuscaldo e Cetraro, che si prendono la briga di salire i tornanti ripidi che in pochi chilometri dal mare conducono ai 514 metri di Guardia Piemontese. Eppure il panorama mozzafiato che si apre davanti agli occhi dalla cima meriterebbe da solo il viaggio.

Alle spalle del castello montagne boscose accarezzate dalle nuvole, davanti un grande tratto di costa ed una distesa marina immensa che pare a portata di tuffo. Nel piccolo paese a nido d’aquila i nomi delle vie sono bilingue, e molti abitanti parlano una strana lingua incompatibile con i dialetti calabresi: l’occitano. Infatti il paese deve il suo nome (La Gardia) e la sua fondazione ad una colonia di valdesi, eretici in fuga dalle persecuzioni e dalle carestie che dalle valli piemontesi qui si stabilirono trovando rifugio nel XIII secolo. E per tanti anni riuscirono non solo a vivere in armonia con i calabresi cattolici, ma a prosperare. Del resto la Calabria è sempre stata terra di migrazioni e di rifugio su erte imprendibili, di greci, ebrei, rom e infine albanesi che si stabilirono sulle montagne dell’interno a metà del quindicesimo secolo in gran numero, e che ancora oggi parlano l’albanese arcaico e professano la religione cattolica di rito bizantino.

Ma a Guardia i tempi felici finirono bruscamente quando i valdesi, seguendo l’esempio dei loro confratelli piemontesi, decisero di aderire alla Riforma Protestante, firmando così per la Chiesa di Roma la loro condanna a morte. La notte del 5 giugno 1561 una crociata decisa dalla Santa Inquisizione nella figura del Cardinal Ghislieri, futuro Papa Pio V ,con l’inganno massacrò qui e a Montalto Uffugo centinaia dei suoi abitanti, uomini, donne, bambini. In seguito fu vietato l’uso della lingua occitana, il matrimonio tra i sopravvissuti e installato nelle porte delle case uno spioncino apribile dall’esterno che dava modo ai Frati Domenicani di poter controllare in ogni momento la vita dei superstiti convertiti a forza al cattolicesimo. La comunità fu costretta a piegarsi, ma non si lasciò mai annientare del tutto. In molte famiglie, di padre in figlio, fu mantenuta segretamente la storia e la cultura degli avi, e parlata sottovoce nel chiuso delle stanze la lingua proibita.

Non c’è biglietto d’ingresso, non ci sono contributi statali o regionali, la luce viene accesa quando entra qualcuno nella piccola casa a due piani che è semplicemente arredata come lo erano una volta tutte le case di Guardia. Più che un museo contadino è una visione della vita passata,un deja vu supportato da alcuni documenti, foto,cartine, articoli di giornale affissi all’ingresso.

Tutto è fermo, immobile, la culla di legno è vuota, una foto di un secolo fa mostra una famiglia sulla soglia. Persino le altre case circostanti arroccate le une sulle altre sembrano trattenere il respiro, pochi suoni umani ovattati, la luce pura delle montagne. Di fronte a un vecchio vestito da sposa attaccato ad una scala insieme ad una bandiera occitana, l’uomo ci chiede se conosciamo la storia del paese, dopo di che, prima in occitano e poi in italiano ci narra la storia del massacro e fa la sua terribile sintesi.
“Nella lunga e buia notte de La Gardia ci hanno voluto cancellare la memoria, ci hanno voluto strappare la lingua. Le porte si aprivano dall’esterno e da esse passava il vento dell’annullamento…” Il signor Giuseppe Visca con il suo narrare omerico è appena finito su YouTube. Passato e presente che si sovrappongono e spesso si confondono. Come molti qui ha visto con emozione il film “Il vento fa il suo giro”.
Quando lo salutiamo ci chiede di raccontare ai nostri amici la storia di Guardia Piemontese, di ritornare a trovare il paese e la sua “anima”, dice proprio così. In dieci minuti, mentre il sole tramonta tuffandosi in mare, ritorniamo alla costa e nei paesi attraversati dalla statale 18 notiamo dei tricolori che ricordano i 150 anni dell’unità d’Italia. A Guardia Piemontese gli occitani perduti vanno indietro nella vita e nel ricordo di altri tre secoli.
pubblicato il 2-11-2011      su        www.frontierenews.it